Le perplessità per la salute pubblica non dovrebbero riguardare unicamente le emissioni odorigene; più di un dubbio aleggia sulla sicurezza, dal punto di vista microbiologico, del trattamento di digestione anaerobica e dei suoi derivati.

Per il funzionamento dell’impianto si impiega la frazione umida dell’immondizia e fanghi dell’impianto di depurazione, che rappresentano un mix potenzialmente molto pericoloso sotto l’aspetto microbiologico.

Gianluigi Scolari, docente di microbiologia degli alimenti all’Università Cattolica di Piacenza, in diverse occasioni ha argomentato in maniera impeccabile sui rischi, la cui portata non è preventivabile, dei residui della fermentazione, di quel “digestato” che, in prima istanza, pareva la perfetta chiusura del cerchio per ottenere energia pulita.

«E’ logico ritenere – evidenzia il docente – che gli impianti per la produzione di biogas possano rappresentare un potenziale pericolo per la presenza di microrganismi patogeni». Altro aspetto stigmatizzato da Scolari è «la difficoltà a replicare in laboratorio il comportamento delle componenti batteriche presenti in un digestore “reale”». Infatti, il professor Scolari definisce «la variabilità del substrato di alimentazione del digestore» come un fattore critico soprattutto quando nei processori fermentazione finiscono anche substrati igienicamente problematici quali possono essere, nel nostro caso, i fanghi di depurazione, dalla carica batterica non determinabile.

L’eventuale sanificazione dei liquami o fanghi o, comunque, dei sottoprodotti, pare non rappresenti un rimedio sufficiente; sempre secondo Scolari «questa stabilizzazione riduce la carica degli enterobatteri ma, secondo alcuni studi, faciliterebbe una re-contaminazione dei digestati da parte di Escherichia coli e Salmonella, oltre che altre specie non meno patogene».

Infine, c’è il problema dei Clostridi, che si configura come uno dei punti più critici, anche in relazione ai depositi di digestato sui terreni coltivi. I Clostridi sono una grande famiglia di batteri anaerobi ubiquitari (sono presenti normalmente anche nel nostro intestino e sono tra i principali attori della fase di idrolisi del biogas) che possono provocare infezioni più o meno gravi, compresi botulismo e tetano. I Clostridi, in condizioni ambientali particolari, formano spore resistenti al calore, alla radiazione ed a diversi agenti chimici, per cui anche la pastorizzazione risulta inefficace. Funghi, batteri, virus non sono inattivati completamente né dal trattamento di digestione anaerobica né dalla pastorizzazione. Tra questi gli adenovirus, trasmissibili per via aerea, e il virus dell’epatite A (Gerba et al. 2001)

La posizione dei microbiologi prospetta notevoli pericoli, che interessano sia la salute umana che gli animali, pericoli di cui si sarebbe dovuto tenere debito conto in fase di Conferenza dei Servizi e di cui non ho visto traccia; nessuna domanda, nessuna perplessità espressa al riguardo. Come possiamo sentirci tutelati, sotto il profilo sanitario, se non viene fatta chiarezza sulla qualità microbiologica del materiale in entrata, in uscita ed immesso nell’aria, nel ciclo di esercizio del biodigestore?

Se tutto ciò che accade entro le mura perimetrali della struttura è di pertinenza del privato gestore, qualsiasi cosa che oltrepassa il confine dell’impianto e si diffonde sul territorio rientra nelle responsabilità del Sindaco, in veste di massima Autorità Sanitaria. Nel momento in cui si verifichino ricorrenti episodi di miasmi sarebbe quantomeno opportuno procedere a verifiche analitiche sulla stabilità biologica attraverso indagini sulle emissioni che ricadono nelle zone confinanti, sia odorigene attraverso le prove di olfattometria già programmate che microbiologiche sul bioaerosol che va in sospensione nell’atmosfera durante lo stoccaggio.

L’insolita incidenza di talune malattie infettive nell’ambito della ASL AL era già stata trattata qui. In particolare, tra le malattie contagiose veicolate anche da microorganismi esistenti nel processo di produzione del biogas, i maggiori focolai registrati nel territorio sono quelli da Clostridi con 102 contagi, 23 di Epatite A, 50 di salmonellosi, 18 infezioni intestinali da campylobacter, 11 casi di legionellosi.

In presenza di studi scientifici che dimostrano l’esistenza di gravi rischi per la salute derivanti dalle emissioni dell’impianto e dal rischio di inquinamento microbiologico, nonché dall’analisi del possibile “effetto cumulativo”, il Sindaco è chiamato ad adottare in via precauzionale ogni possibile iniziativa di tutela.

Con riferimento in particolare alla tutela della salute, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto – in ossequio al principio di precauzione – l’esistenza di un vero e proprio obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente.

Una tutela anticipata anche di fronte alle migliori tecniche previste, una tutela dunque che non impone un monitoraggio dell’attività al fine di prevenire i danni, ma esige di verificare preventivamente che l’attività non danneggia l’uomo o l’ambiente. Tale principio trova attuazione facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici ed è stato ribadito in più occasione da vari TAR. LA Corte di Giustizia, invece, sostiene che il principio di precauzione riceve applicazione in tutti quei settori ad elevato livello di protezione, ciò indipendentemente dall’accertamento di un effettivo   nesso causale tra   il fatto dannoso o   potenzialmente tale e   gli effetti pregiudizievoli che ne derivano.

Annamaria Agosti