L’eccessivo consumo di alcol, in crescita nella popolazione italiana, e le malattie metaboliche sono una delle cause principali di sviluppo di steatosi e di cirrosi epatica. Nel nostro Paese gli esperti parlano di una vera e propria emergenza. A questo si aggiunge quella che i clinici definiscono la “malattia di fegato del millennio”, la steatosi epatica non alcolica: ce l’ha una persona su 4 e il 60% degli obesi e dei diabetici, a causa di cattivi stili di vita. Di fronte a questo quadro la priorità è identificare precocemente i soggetti a rischio e rivedere i piani nazionali di prevenzione. 

Le malattie croniche del fegato rappresentano un’emergenza epidemiologica e clinica a livello mondiale e nazionale. In Italia le persone colpite da cirrosi epatica sono 180mila casi, con un tasso di prevalenza dello 0,3% nella popolazione totale. La disponibilità di farmaci anti-HCV ha prodotto orizzonti nuovi per i pazienti con malattia epatica, ma c’è ancora molto da fare per far emergere il sommerso. La malattia epatica, inoltre, non è solo HCV, poiché emergono molte altre cause quali malattie metaboliche e alcol, che in assenza di monitoraggio possono evolvere a cirrosi, cancro epatico e fino al trapianto di fegato, incidendo in maniera significativa sull’organizzazione socio-assistenziale e sull’impatto economico gestionale dei vari sistemi sanitari regionali. 
Alla luce delle risorse in arrivo dal PNRR, come dovrà riorganizzarsi la filiera assistenziale? Per rispondere a questa e ad altre domande Motore Sanità, con la sponsorizzazione non condizionante di Alfasigma e Intercept Pharmaceuticals, ha promosso il webinar dal titolo: “IL PERCORSO AD OSTACOLI DEL MALATO DI FEGATO – L’EVOLUZIONE DELLE CAUSE DI CIRROSI: DALL’HCV, ALL’ABUSO DI ALCOOL, ALLA NASH”.  


Luca Miele, Dirigente Medico UOC Medicina Interna e del Trapianto di Fegato Policlinico Gemelli Roma ha fatto il punto sulla cirrosi epatica nel nostro paese e ha descritto il paziente cirrotico.
“Secondo dati di proiezione, nei prossimi 10 anni potremmo avere un rischio di incremento di circa il 170% di cirrosi oltre che di epatocarcinoma e di morti legate a cause epatiche. Cosa possiamo fare? Il Covid ci ha fatto riflettere sulla necessità di riorganizzare tutto il flusso del paziente all’interno dell’ospedale cercando di identificare precocemente i soggetti e con metodiche non invasive. Inoltre abbiamo la necessità di avere dei farmaci efficaci e sicuri sulla steatosi epatica non alcolica, una nuova emergenza”. 
Il paziente cirrotico è un paziente estremamente fragile“Infatti, va facilmente incontro a ospedalizzazioni, per vari motivi, per cui una condizione cronica abbastanza compensata può andare incontro nel tempo anche ad una condizione di scompenso epatico che può essere precipitato da eventi che possono essere anche potenzialmente letali, come le infezioni o il sanguinamento gastrointestinale; quando si verificano questi eventi e ci si trova nella fase di cirrosi scompensata il rischio di mortalità del soggetto è ad un anno dall’evento – ha aggiunto Miele -. La mortalità per cirrosi si è ridotta nell’area del Mediterraneo ma ci sono alcune zone dove è incrementata, pertanto la cirrosi resta un problema non trascurabile. Anche l‘epidemiologia dei pazienti che vanno al trapianto è cambiata: ci sono molti più pazienti che hanno una epatopatia alcolica o metabolica e molto meno pazienti con epatite C grazie alle nuove terapie”

Secondo Salvatore Petta, Professore Associato in Gastroenterologia, Policlinico “Paolo Giaccone”, Palermo, la steatosi epatica non alcolica è una pandemia, è la malattia di fegato del millennio“Un soggetto su 4 ha steatosi epatica non alcolica, il 60% degli obesi e dei diabetici hanno la steatosi epatica non alcolica, tutto questo è legato a cattivi di stili di vita. Dobbiamo agire sulla prevenzione in ambito scolastico e lavorativo. Solo l’1-2% della popolazione generale e il 10% dei diabetici sviluppano un danno epatico severo, a rischio di complicanze, quindi il nostro obiettivo è intercettare nell’ambito della medicina generale e delle cliniche diabetologiche questi soggetti da inserire in programmai di terapia e follow up. Pertanto vanno create reti che mettono in comunicazione la periferia con il centro e sviluppino dei percorsi diagnostici terapeutici di facile referall. Inoltre ad oggi non esistono dei LEA per questa patologia pertanto vanno costruiti sia una identità a livello di istituzioni, pazienti e specialisti, sia dei percorsi”.

Gianni Testino, Direttore SC Patologia delle Dipendenze ed Epatologia ASL3 – Ospedale San Martino, Genova – Presidente Nazionale Società Italiana di Alcologia Presidente SIA ha parlato di stigma della patologia epatica“I pazienti e le loro famiglie tendono a nascondere il problema perché si vergognano a parlarne e questo, da una parte, non permette di intercettarli, dall’altra si riducono le possibilità di una diagnosi precoce dei casi. Quindi non solo abbiamo una ridotta diagnosi di cirrosi epatica in fase precoce ma anche una forte riduzione di casi di epatocarcinoma in fase ancora curabile. La prevenzione primaria è fondamentale, la chiave sono i genitori e la scuola”.

L’alcol è una delle cause di sviluppo della cirrosi epatica. Il problema dell’avvicinamento all’alcol è cambiato negli ultimi anni, la fascia dei giovani è pesantemente coinvolta e il numero stimato è di circa 1 milione 600mila sotto i 18 anni e sono considerati consumatori a rischio.  
“In Italia circa il 60% di tutte le cirrosi epatiche è di origine alcolica; quasi il 70% di tutte le cirrosi epatiche e quasi il 50% è legato a maschi e donne, secondo i dati dell’Istituto Superiore della Sanità – ha spiegato Emanuele Scafato, Direttore Osservatorio Nazionale Alcol, CNESPS – ISS -. In totale sono 36milioni i consumatori di alcol in Italia di cui 8,6 milioni sono i consumatori a rischio (1,6 milioni di giovani e 1 milione di minori); ci sono circa 4 milioni di ubriachi da binge drinking, circa 1 milione tra i giovani; gli “heavy drinkers”, bevitori pesanti, che consumano una quantità di alcol dannosa per la salute sono circa 830mila di cui solo il 7% sono presi in carico dal servizio sanitario nazionale, servizio che non riesce ad intercettare il 90% di tutti coloro che sono in necessità di trattamento; inoltre il 50% di tutti i casi di cancro del fegato è legato all’uso dannoso di alcol. Bisogna agire su diversi livelli di rischio, sui diversi target di età e di genere attraverso la prevenzione universale e quella ad alto rischio colmando i molti gap della programmazione e della prevenzione. I piani nazionali di prevenzione devono essere rivisti, bisogna rifare un Piano nazionale alcol e salute”.