Da qualche anno anno si era trasferito a Voghera, ma per oltre mezzo secolo ha abitato a Tortona dove era conosciuto da tantissime persone in quanto rappresentane di Commercio prima, e responsabile di area poi, della ditta Vorwerk quella che produce il famoso “Folletto.”

Parliamo di Enrico Guagliata, 66 anni, tortonese a tutti gli effetti.


E’ deceduto l’altro giorno all’interno della sua abitazione, in via Piave, a Voghera. Da qualche giorno, si era ammalato: tosse, raffreddore qualche linea di febbre. “Malanni di stagione – diceva a chi gli telefonava – che mi vengono spesso e poi passano.”

Evidentemente non era proprio così, visto che è deceduto senza riuscire neppure a chiedere aiuto o farsi ricoverare.

Non sappiamo, né vogliamo entrare nel merito sul motivo, per cui il suo caso, che apparentemente sembrava simile a quello di molti malati di Covid, non abbia seguito una trafila diversa, ma non ha importanza, perché questo non lo riporterà certo in vita e con questa frase finisce il resoconto del cronista e inizia quello dell’amico.

Già, perché chi scrive conosceva molto bene Enrico Guagliata, in quanto eravamo amici da oltre 40 anni, anche se le vicissitudini della vita ci hanno fatto prendere strade diverse.

Potrei scrivere quasi un libro su di lui ma mi limito solo a raccontare una parte pubblica e una privata della sua vita, che in fin dei conti non è stata così rosea come avrebbe potuto essere.

Quella pubblica la “liquido” in poche parole: a Tortona ha abitato prima con i genitori in via Leonardo da Vinci, poi si è sposato con Eleonora con la quale ha vissuto diversi anni e dopo una breve separazione l’ha assistita fino al suo ultimo respiro, quando lei è deceduta alcuni anni fa.

Enrico amava il suo lavoro e conosceva tante persone ma quelle con le quali era veramente affezionato cioé i genitori e la moglie, sono tutti deceduti e lui si è ritrovato da solo. A quel punto, in pensione, ha deciso di trasferirsi a Voghera dove è diventato attivista all’Università della Terza età, prima come semplice iscritto poi come insegnante di lingua francese. Lui, infatti, era nato a Tunisi trasferendosi a Tortona quando era ancora un bambino ma conosceva molto bene il francese.

Qui finisce la parte pubblica di Enrico Guagliata e il giornalista termina così il suo lavoro.

Io però ero anche un suo amico e spero apprezzerà quello che ora sto per scrivere. Mi auguro, dal posto in cui si trova, possa perdonarmi se svelo alcuni aspetti della sua vita, perché una persona non è soltanto un organismo destinato a morire ma qualcosa di molto più profondo e complesso e ogni persona merita di essere ricordata e apprezzata per quel che è. O, nel caso di Enrico, era.

Io credo di essere tra pochi che sapessero veramente chi fosse Enrico Guagliata. L’ho visto l’ultima volta alcuni mesi fa quando – grazie a lui – ho tenuto tre lezioni all’Unitre di Voghera.

Erano parecchi anni che non ci incontravamo ma tra di noi il rapporto è stato sempre schietto e amichevole. L’ho ritrovato lo scorso anno in occasione della presentazione del mio libro “Storie” dove in un capitolo, intitolato “Fra Tonino” parlo anche di lui. Sì, l’Enrico nominato in quel libro è proprio lui, così come era sua moglie la Eleonora citata.

Quando si è presentato al Centro Commerciale Oasi per acquistare il mio libro, lui non lo sapeva ancora, né poteva immaginare che avrei dedicato un capitolo al “nostro” Gruppo Giovanile che abbiamo frequentato alla fine degli anni settanta quando eravamo ancora giovani, ma quando poi lo ha letto mi ha ringraziato moltissimo e si è commosso. Mi ha chiamato subito al telefono e mi ha detto semplicemente “Grazie” perché gli avevo ricordato alcuni dei momenti più belli della sua vita.

Con lui ho diviso molti anni della mia gioventù, con le vasche sotto i portici di Tortona e al centro giovanile della parrocchia e nei tanti spettacoli prima di partire per il servizio militare, fra cui il mitico “Oggi Risorge” dove lui era il presentatore.

Quando ci siamo rivisti lo scorso anno, dopo tanti lustri, mi ha raccontato prima la parte triste della sua vita cioè la morte della mamma e della moglie (il papà era deceduto tanti anni prima) ma l’infinita tristezza che traspariva dalle sue parole pian piano ha lasciato spazio alla realtà e al presente, sicuramente migliore del passato. Era contento: non solo perché ho parlato di lui nel libro, rendendolo in qualche modo “immortale” ma perché, vedendomi, ha avuto l’occasione di raccontarmi a grandi linee quella che era diventata ormai la sua vita, cioè l’Unitre, dove aveva trovato la sua dimensione subito nel ballo e nel teatro e poi come insegnante.

Mi ha portato a casa sua, dove si era trasferito e mi ha fatto vedere la miriade di CD, DVD, fotografie, libri e tanto altro che aveva dei suoi cantanti e delle attrici: a migliaia e in ogni angolo della casa.

Enrico è sempre stato un partito della musica e del cinema e non passava giorno senza che acquistasse qualcosa che accatastava in attesa di sistemare, secondo un preciso ordine cronologico.

Abitava in affitto ed era molto contento dei locali che aveva trovato e della sua padrona di casa, che definitiva gentile e squisita. Era rimasto solo e il suo unico rammarico era quello di non essere riuscito a diventare padre. Mentendo spudoratamente ho cercato di consolarlo, dicendo che non aveva importanza, ma lui sapeva che le mie erano solo parole di circostanza perché era conscio che il ruolo di padre, più di ogni altro, è insisto nella mia vita ed è la cosa più importante.

La sua vita, forse, non è stata così felice come avrebbe voluto e si sarebbe aspettato, però, in questi ultimi anni mi disse che aveva finalmente trovato la sua dimensione ed era sereno.

Come tutti noi aveva fatto progetti per il futuro: doveva catalogare e sistemare le migliaia di CD e DVD che aveva in casa e che, presumo, siano ancora là in attesa di una sistemazione che non avverrà mai più.

Spero vadano all’Unitre di Voghera, l’unico ambiente, forse, che era riuscito a dargli quella serenità di cui era alla ricerca da tutta la vita e tranne lì e in pochi altri luoghi al mondo, è riuscito a trovare.

Con me ha sempre avuto un rapporto speciale, sicuramente molto più da parte sua che da parte mia e durante le ultime volte che ci siamo visti mi ha fatto delle profonde confidenze sulla sua vita vissuta. Confidenze che io da giornalista pragmatico prima che da uomo, ho cercato di minimizzare spostando la sua attenzione verso le cose che aveva piuttosto che su quelle che aveva perso o non aveva ottenuto.

“Enrico – gli dissi – nella vita non è importante avere tanto o poco ma il valore che diamo a quello che abbiamo”. Spero lo abbia compreso perché è la verità su cui fondo tutta la mia esistenza.

Come scrivo nel mio ultimo libro sono abituato a raccontare la morte e anche quella delle tante persone che conosco e non avrei voluto scrivere nulla su Enrico e sul suo decesso che forse avrei dovuto ignorare, perché scrivere apre inevitabilmente il libro dei ricordi della vita passata.

L’articolo che state leggendo, quindi, non era previsto, ma poi qualcosa mi ha fatto aprire il computer, mi ha messo davanti la tastiera e mi ha spinto a scrivere di lui, di Enrico e della sua vita, simile a quella di tante altre persone.

Così è uscito questo: un lungo articolo che mai avevo scritto prima in questo modo su qualcuno, un articolo che un poco alla volta si è trasformato in una piccola storia, quella di un amico che non c’è più.

Angelo Bottiroli