Come purtroppo già scritto, sabato 24 ottobre si è cristianamente spenta Maria Ardissone, in Damonte [https://www.oggicronaca.it/2020/10/non-e-un-addio-quello-alla-borellotta-maria-ardissone-nonna-della-nostra-collaboratrice-giulia/]. Nonna della nostra collaboratrice Giulia Quaranta Provenzano, la generosa donna originaria di Diano Borello avrebbe compiuto 86 anni il 7 di novembre.  

A distanza di qualche giorno, Giulia ha voluto affidarci alcuni ricordi felici insieme alla sua mamma bis con la quale è cresciuta – mamma bis che avrà sempre un posto speciale ed in primo piano nel suo cuore, divenuto – come da lei stessa ammesso – forse ora un poco meno ermetico.  


Cara Nonna Mariuccia,

è così strano ripetere adesso solamente più nella mia testa <<Nonna! …Nonna>> e non udire risposta alcuna, ma sol sentir vibrare forte quel tuo sorriso gentile e pudico nelle mie pupille a grancassa del petto allorché non smetto di osservare i nostri stralci di felicità. Mi sembra così impossibile guardare i tuoi occhi vispi e penetranti ormai soltanto dalle nostre foto insieme; che tu non amavi farti fotografare, però da me ti lasciavi sempre immortalare e pur maggiori mi paiono gli scatti mancati che di ritrarre ancora mi è stato negato.

Per scherzare ti chiamavo grilletto, con quei capelli lisci che preferivi al naturale come te (con quell’ondina del ciuffo che portavi sulla destra o come un’antenna quando tenuti più corti) e quelle gambette sottili e veloci, sgambettanti, a passeggiare per Varcavello e per Diano e a correre con il motorino Garelli blu a casa da me quando ero spesso malata, col tuo esile piedino n. 35! Che di focacce alla cipolla e ai formaggi, al gorgonzola per colazione, e che di pizza all’Andrea per il nonno… Non ne parliamo poi di ovetti Kinder soprattutto, di Bounty al cocco, di Big Babol e di gomme da masticare perché con dentro tattoo o adesivi comprati ogni dì dalla bottega di Giustino dove ci recavamo sapendo che qualcuna avrebbe fatto la spia a mamma e papà dato che già grandicella mi impuntavo a stare sul passeggino, ihihih.

E il martedì era una goduria: credo di non aver perso un mercato, sì io e te non ce ne siamo lasciate sfuggire uno. Tappa fissa il banco dei giocattoli per l’anellino con l’orsetto, la tartaruga, il delfino, la stellina, il fiorellino con al centro una specie di minuscola pietrina colorata che immancabilmente durava poche ore visto che c’era ogni volta la stessa bambina a volerlo e portarmelo via appena arrivata all’asilo dalle suore. Tu tuttavia mi dicevi e ripetevi <<Giuly, non fa niente. Il prossimo martedì ne prendiamo un altro>> giacché avevi un cuore immenso e donavi e lasciavi che donassi pur’io agli altri per il piacere di renderli lieti, contenti come lo eravamo noi due semplicemente mano nella mano (giocavi volentieri con le mie dita, come farebbe tua figlia se io non fossi fastidiosa e non mi arrabbiassi) oppure a braccetto.

Nonnina, sai che se ti guardo col tuo cappottino color cammello e la borsetta marrone al braccio dall’immagine sul mio cellulare sorrido senza zucchero, un poco amaro come il caffè scuro che molto ti piaceva eh Mariù? Tu eri così religiosa, devota alla Madonna ed io invece a farti arrossire ché non trovo pace in ciò che non vedo né mi è corredo per atto di fiducia dalla nascita; invero neppure trovo conforto in quanto scorgo, nei sensi e nella ragione giacché l’interrogare è dall’infanzia mio fedele compagno e dunque il ristoro del dono della fede mi è negato …ebbene Tu, Nonnina questo l’hai sempre saputo. Hai sempre saputo che tua nipote è una testolina matta, una pulcinotta senza requie che osservava con Te il cielo e le sue stelle sul terrazzo interrogandosi in silenzio su quanto nessuno potrà mai comprendere. Il principio e la fine son mistero, magari esiste una continuità di cui non ci è fattibile apprendere e scoprire per vivere più intensamente sulla Terra – sebbene ce ne dimentichiamo tutti tanto sovente abortendo, e nel più roseo dei casi abbozzando di sfuggita, gesti che dovrebbero essere all’opposto intensi e pieni di calore dato che l’intanto è l’unico tempo concessoci qui.   

Rammenti Nonna come la caffettiera era senza sosta sui fornelli mentre studiavo in sala per gli esami universitari? Non è che ci interessasse in modo particolare bere, piuttosto era un’occasione per interrompere il fluire dei secondi e cristallizzarli per ciò che in questo 2020 è divenuto prezioso ed assetato ricordo. Volevo con una tale testardaggine non separarmi da Te e dalla mamma, non volevo andare in convitto a Genova, che ho finito un anno in anticipo l’Università e a ripensarci quell’anno è davvero stato guadagnato. È stato uno spicchio di gioia sottratta all’inclemente clessidra del Tempo e mi scalda parecchio il petto pure essere riuscita a farti conoscere Carlo, ù longu che proprio il mio aver finito prima l’Università ci ha permesso di salutare in coppia quando passava sull’autostrada con il furgoncino color canarino come gli uccellini che amavi o color bianco come le miriadi di pratoline che abbiamo intrecciato in coroncine e collanine dal palazzo sotto l’officina, vicino al campo di camomilla il cui profumo adoravamo.

Ti ricordi inoltre quando passavamo sotto il pontino e davamo da mangiare alle papere, ai germani e alle oche? Proseguivamo, dopo aver lasciato pezzettini di pane, verso il supermercato Basko e abbiamo continuato a passarvi fino a circa undici anni fa quando tuo marito si è ammalato e persino la tua di salute ne ha risentito. Il fiatone non ti ha impedito di passeggiare comunque, come nella mia infanzia, con la tua nipotina – e la gente infatti ci sapeva inseparabili, avevano memoria di me poiché avevano presente Te e viceversa. E in fondo di certo non stupirà leggere che con te è venuta a mancare gran parte di me. Ovvio, la vita va e deve andare avanti, è giusto così in ispècie in nome di coloro che ci vogliono bene e non di meno so di essere divenuta come quei vasi in ceramica le cui crepe i Giapponesi riempiono d’oro, dell’oro della rimembranza …Magari il mio petto inizierà ad essere più umanamente fragile e quindi sensibile, magari quanto ha rotto quella corazza di apparente impassibilità in mille pezzi mi insegnerà ad amare più profondamente appunto in quanto mi costringerà ad andare al di là delle cicatrici per  ricongiungermi all’essenziale, a colei che sono stata in passato – affettuosa e tenera – e che le delusioni, crescendo, hanno soffocato con uno stupido senso di rivincita dacché in fin dei conti assai è la sofferenza ad indicarci di essere vivi.

Nonnina, non so se ci rincontreremo. Non sono fornita della conoscenza di quel che vi è oltre le palpebre abbassate e nonostante ciò mi conforta scorgere in quella rosa panna scesa dai e ai tuoi piedi allorché le tue spoglie terrene sono state fatte uscire dalla macchina funebre il segno mandatomi che, finalmente appagata, sei ritornata per l’eternità nel tuo caro paese natale, a San Rocco. Scrissi infatti <<(…) Dove da parecchio c’è cemento c’erano meli e peschi fioriti, e ci piacevano così tanto quei candidi e rosati fiorellini che vorrei mandarteli in Cielo a ornare ogni tuo passo tra gli angeli (…)>> che come non scorgere nel bocciolo caduto sul sagrato (come quelli che raccoglievamo per i nostri mazzetti da mettere vicino al telefono, sopra la tv e sul tavolo del salotto) il Tuo ultimo saluto?!                         

Non è un addio Mariuzza, sarai sempre nel mio cuore Adorata settimina mia.

Ti Voglio Bene!

La Tua Pulciotta Giuly