La giovane poetessa dianese Giulia Quaranta Provenzano (Classe 1989) è tra i poeti finalisti della XVI° Edizione del Premio Tra un fiore colto e l’altro donato – Poesie d’Amore , con il suo componimento dal titolo “Enrico”. La detta poesia, inviata alla Aletti Editore , della trentenne ligure recita << Enrico si alzava presto al mattino,/ tornava ancor più tardi a casa alla sera/ E non c’era giorno che non indossasse il suo/ grembiule, profumasse d’acqua di colonia.// Enrico era un uomo pratico in apparenza,/ dai tratti ben definiti, poco riflessivo forse, tenace/ però o, chissà, in verità … Ma Enrico di certo/ era un profondo Sognatore// su una strada le cui curve mai furon culla/ quanto invece tentatrici serpi per lui.// Oh Enrico, fosti padre quando il tuo a te chiese troppo,/ Fosti padre laddove il romanticismo ti fu bandito./ Io, nonno, soltanto anni dopo potei vedere/ come nei tuoi occhi grigi il verde era sbiadito/ al vento d’un tempo che non ti aveva dato tregua/ mentre percorrere volevi quella strada che anch’io amo/ E che eppur vediamo solo intorno a noi/ fragili ed introversi >>. Giulia, qual è stata la sua reazione alla notizia d’essere risultata finalista ad un Concorso tanto di prestigio? “Ogni volta controllo di aver letto correttamente. Anche questa volta ho verificato più volte l’e- mail con la piacevole comunicazione. Ora comunque, benché soddisfatta del raggiunto, cito un proverbio cinese: “Per costruire un impero l’uomo impiega cent’anni; per distruggerlo gli basta un giorno”. Ecco, io da tempo partecipo a concorsi letterari (sebbene attualmente molto meno) per mettermi sempre in gioco e cercare di far conoscere quella che è la mia interiorità ad un numero più ampio possibile di persone così da instaurare relazioni autentiche, sincere, profonde, costruttive capaci di diffondere e condividere magari un po’ della ricercata felicità. Proprio il mettersi in gioco tuttavia può comportare pure essere pesantemente criticati, o elogiati per secondi fini. Quel che è superficiale, arrivistico o falso non mi interessa e anzi tento di eliminarlo del tutto e al massimo dalla mia vita. Scrivo poesie probabilmente per una forte esigenza catartica, ma altresì perché trattare per esempio dei grandi ed inesausti interrogativi esistenziali fa parte della mia natura e quando lo faccio sento fluire in me preziosissima energia, una serenità travolgente. Venir invece giudicati “da sopra un pulpito”, ignorati, biasimati aspramente – e non si può mai escluderlo per certo – risulta pregiudizievole d’amore ed è in grado di minare quell’equilibrio tra calma e tempesta in cui appunto gli ‘imperi’ prosperano. Il plauso regala contentezza, non di meno per ottenerlo e consolidarlo ci si deve di continuo esporre col rischio di non trovare (più) o veder minata quella che è la già precedentemente conquistata pace”. Quale sensazione si prova a venir apprezzata da uno dei più importanti autori della musica italiana quali Alfredo Rapetti Mogol? “Nomi tanto noti, nomi che non verranno facilmente scordati nel tempo fanno sì che il loro apprezzamento nei tuoi confronti sia motivo di autorevolezza. Mogol, come Giuseppe Aletti (che cureranno l’introduzione dell’omonima raccolta di poesie “Tra un fiore colto e l’altro donato”, libro con i migliori testi quali è stato valutato il mio, messo in commercio da fine gennaio 2020) sono considerati due auctoritas in campo musicale e poetico quindi la loro stima fa sì che anche lo stimato dai detti venga reputato degno di credito. Ciò, in tutta onestà, in ogni caso non è per me che un alimentare non di rado una specie di circolo vizioso d’aspettative talvolta superiori, tal’altre inferiori a quella che diversamente poteva essere un’assai differente percezione del singolo scevra da sfalsati ed alterati pregiudizi, per quanto può darsi solo inconsci…>>