Matteo Faustini, classe 1994, è cantautore bresciano che ha iniziato a muovere i primi passi nella musica fin da bambino. Nel 2007, infatti, entra a far parte del coro delle voci bianche della Scala di Milano mentre negli anni seguenti si mette in gioco con il teatro, venendo così a contatto con un mondo per lui nuovo e stimolante.

È poi a 18 anni che Matteo sente sempre più incessante il bisogno di esprimersi attraverso la musica, intraprendendo dunque un percorso cantautoriale e sviluppando una forte esigenza di sperimentazione e ricerca musicale.Parallelamente agli studi in Scienze Linguistiche e letterature straniere, partecipa e vince vari concorsi canori come “La VOCE di Lodi – The Tunnel” (incluso il premio della critica assegnatogli dalla cantautrice, compositrice e musicista Andrea Mirò) e il “Festival della Canzone – Città di Arese”;si classifica al secondo posto e vince il premio come miglior inedito al Premio “Franco Reitano” e si aggiudica una borsa di studio presso la “Lizard Accademie Musicali”. Inoltre, nel 2017 il giovane lombardo viene selezionato come finalista ad Area Sanremo.


Negli ultimi due anni, Matteo Faustini ha scritto più di 50 brani, alcuni dei quali insieme a Marco Rettanicome Nel bene e nel male[https://youtu.be/SMY6VvJrUhE], in gara al 70° Festival di Sanremo nella categoria “Nuove Proposte” e vincitore del Premio “Lunezia per Sanremo” per il suo valore musicale e letterario. Il primo album del ventiseienne “Figli delle favole”,uscito lo scorso febbraio, ha debuttato al 2° posto della classifica iTunes e tra i dischi più venduti nella classifica FIMI/GfK. Ed è con sincero piacere che noi di Oggi Cronaca abbiamo voluto intervistare questa bella e profonda anima per la nostra rubrica Oggi Musica.

Matteo, da venerdì 4 dicembre è in radio “La bocca del cuore” [https://youtu.be/Frv_CWkmWxE], singolo estratto dal tuo album d’esordio “Figli delle favole”. Mi pare di intuire che già nei versi iniziali del detto brano sia ben rintracciabile l’importanza che ha per te il non celare le proprie emozioni, i propri sentimenti, i propri pensieri benché non sia sempre cosa che tu (e non solo…) riesci a fare tant’è che canti <<Ci sono cose che non avrei mai dovuto dire/ Ci sono cose che invece non ho detto mai/ Son quelle cose come stupide parole/ E non importa se il motore è la rabbia e non il/ cuore (…)>>: è così? E possiamo scendere più nel dettaglio di come, per esempio, se con ciò alludi ad alcuni rimpianti che ancora scottano ed, eventualmente, a quali fai riferimento nello specifico altresì in relazione a quanto è stato? Assolutamente, è così! Mi sono convinto che scrivere e pubblicare musica sia come pubblicare il proprio diario segreto però, appunto, pubblicandolo non è più privato e ci vuole quindi un grande coraggio per fare ciò …anche se e però, spesso, parlare d’amore viene sottovalutato. Personalmente non ho rimpianti veri e propri riferiti alla storia d’amore che ho condiviso attraverso questa canzone in quanto tale storia mi è servita per imparare – d’altronde avevo tra i 18 e i 22 anni e in questa fascia d’età è necessario amare e soffrire per amore per apprendere certe cose, bisogna passare attraverso il dolore. Mi reputo tuttavia davvero una persona migliore grazie all’esperienza passata. Per quanto invece riguarda il rancore, ho provato a perdonarlo proprio scrivendo “La bocca del cuore”: diciamo che è un espediente che io utilizzo per farmi, più o meno, da “psicologo” sebbene ovviamente non sia la stessa cosa. Ciò mi fa, non di meno, stare meglio ed è  catartico.   

Pensi che la rabbia sia un moto, una questione, della mente od invece del cuore? Ti domando ciò perché che tu scriva <<(…) E non importa se il motore è la rabbia e non il/ cuore (…)>> sembra suggerisce una contrapposizione, per l’appunto tra soggetti differenti, e quanto di più distante dal cuore se non la ragione? O, invece, ritieni che la razionalità pur non essendo un sentimento, non sia antitetica al cuore poiché neppure lei rimane in superficie, né in periferia bensì solo sia caratterizzata da una bussola che ha l’ago puntato verso una più pragmatica direzione rispetto al petto? Penso che la rabbia sia sia una questione della mente, sia un moto del cuore. A volte l’arrabbiarsi è difatti dettato dal cuore tant’è che spesso ci fa rabbia qualcosa che abbiamo vissuto in prima persona e alla quale dunque teniamo molto al punto che la mancanza di rispetto verso tale cosa (che abbiamo a cuore) ce la provoca, ma altre volte ci arrabbiamo per costrutti sociali. Io, ad esempio, fortunatamente non ho direttamente vissuto il nazismo sulla mia pelle ma se mi trovo davanti un nazista mi arrabbio tantissimo. Questa è cioè una rabbia che, a parte dall’intelligenza, deriva soprattutto dalla cultura di base degli esseri umani. Penso cioè che ci sia una rabbia dettata dalla mente e una rabbia dettata dal cuore, benché sovente sia quella del cuore che continua a scavare e che si deve far uscire perché se scava, poi, non di rado si insedia e comincia a marcire dentro.

Sempre nella canzone “La bocca del cuore” continui <<(…) E poi/ Le occhiaie vi racconteranno le mie notti/ insonni/ C’è chi non chiude occhio io non chiudo cuore/ e sai/ Che non importa se mi dimenticherai/ Le cicatrici sopravvivono anche alla felicità lo/ sai/ Che di notte, anche di giorno è notte/ Accendo la luce ma è notte e non ci sei (…)>>. In ciò ho l’impressione di leggere di un giovane uomo che – benché sia portato ad accendere “la luce” e a non chiudere occhio, trasposto meno metaforicamente che sia cioè portato ad indagare e dunque ad usare la razionalità in quanto etimologicamente la ragione è “capacità di discernere” che è cosa possibile con la vista e certo non al buio – esperisce una tensione dicotomica dacché la forza a renderlo vivo è il cuore. Cuore a cui, nei versi appena citati, è data la maggiore e più incisiva importanza dal momento che (seppure esordisci di utilizzare ad iosa la razionalità, come indicano le “occhiaie”) affermi poi che “è notte e non ci sei” ossia che è infine il cuore a prendere il posto della razionalità, cuore prima e probabilmente non seguito davvero e fino in fondo dato che l’amata non vi è. È corretto, e cosa puoi dirci a tal proposito? Credo che questa dicotomia internasia cosa reale, che luce e buio facciano parte di una lotta. Io penso che, per natura, gli esseri umani posseggano sia luce che buio e che siano utili e fondamentali entrambi. Forse, se fossimo tutti 100% solamente luce e bene, l’essere luce e bene varrebbe di meno. Il fatto di (poter) scegliere (o rinnegare) la parte di bene ci valorizza ancora di più quando lo facciamo perché, all’opposto, potremmo scegliere l’altra parte ovvero quella del male, quella del buio. Anche solo provare ad optare ed essere la parte bella, a mio avviso, è nobile…        

Che <<Le cicatrici sopravvivono anche alla felicità (…)>> sta a significare che tu non dimentichi nulla mai e che ti è chiaro e non trascuri mai niente (le cicatrici, difatti, per lo più sono segni che rimangono parecchio visibili sulla pelle), vero? Sei dell’avviso che questo sia un limite, un impedimento nell’esistenza oppure propedeutico all’insegnamento o almeno un monito di un qualcosa, possibilmente da non ripetere? …Ma siamo sicuri che il medesimo atteggiamento, le stesse azioni in tempi, luoghi e con altre persone conducano ad un uguale sbocco? E sì, aimè, le cicatrici permangono ma sono dei segni, sono dei marchi che servono a ricordare. Le cicatrici sono veramente una sorta di promemoria, sono dei tatuaggi non voluti che insegnano e rammemorano; persino quando vanno sottopelle li si porta dentro di sé – si chiamano traumi! – più o meno irrisolti. Se si sceglie, però, di accettarli e di non dimenticare, questa è la chiave per superarli.  

Per te cos’è la felicità? Forse gli esseri umani possono sì vivere sereni, mentre felici unicamente per alcuni attimi in quanto la felicità è passeggera, è un’opportunità data e colta, è la riuscita di una determinata cosa e di un qualcosa fermo restando però che essa per sua natura – essendo per l’appunto la felicità la compiuta esperienza di ogni appagamento – si riduce invero ad illusione, a quella pace che la non staticità che la vita in sé esige impedisce pertanto d’essere costante e continuativa? Per me la felicità è una sensazione breve, di notevole intensità. Io non aspiro alla felicità, per quanto sia bella, ma aspiro alla gioia che vedo come uno stato più duraturo e permanente o alla serenità. Serenità, equilibrio e gioia sono ciò a cui ambisco. La felicità è un picco, che dura poco – certo bellissimo, fantastico, eppure aggrapparlo non lo considero possibile.

Più in generale e concretamente, cosa non ti permette di prendere sonno alla notte? Ciò che non mi permette di dormire alla notte penso che fondamentalmente sia la paura, l’ansia, e sono convinto che accomuni tantissime altre anime …Non sapere cosa ci facciamo al mondo, chi ci ha messo qua, se c’è uno scopo oppure se è tutto a caso. Mi arrovello di continuo con questi interrogativi, nel cercare di trovare una finalità e mi domando senza sosta quali siano le cose importanti; mi sento in colpa nel lamentarmi per cose stupide. Ho poi il terrore che non ci sia niente e che pertanto sia tutto inutile. Alla fine, comunque, scelgo di credere che ci sia una finalità prima ed ultima e che nulla avvenga per caso, che abbiamo tutti delle responsabilità nei confronti dei nostri talenti anche se, nonostante questo scegliere con fede, so che la mia è solo una scelta senza dimostrazione alcuna. Decidere da che parte pendere, diluire la paura con la speranza, è una scelta soggettiva di fiducia poiché non c’è prova dell’invisibile, d’un disegno superiore.

Quali sono le tue priorità ad oggi, c’è qualcosa/qualcuno del quale senti un’imprescindibile necessità ma che attualmente ti manca o non osi avvicinare ed invece vorresti abbracciare con tutto te stesso? La risposta a questa domanda è equilibrio. Equilibrio, o serenità, è la mia priorità ad oggi, quel qualcosa di cui sento la necessità e che mi manca pur volendolo abbracciare.  Per me l’equilibrio è difficile ma ci provo ad ottenerlo e, ad esser sincero, comincio a vedere un po’ di serenità sebbene da lontano, col binocolo.

Il brano “La bocca del cuore” prosegue ancora con <<(…) E non importa se adesso tu ti allontanerai/ Io mi farò un po’ più grande così mi troverai/ No, non c’è più la rabbia non c’è più gelosia/ Amore mio fai buon viaggio ovunque tu sia (…)>>. Il termine “grande” potrebbe essere letto come a livello di sviluppo d’età, anagraficamente oppure delle consuete proporzioni e merito, tuttavia, in entrambi i casi è ravvisabile un riferimento in primis ed in ultimo al valore. Tale valore, nel testo del singolo, non penso di andare errando sostenendo che si manifesta come bene che vuole essere presto trovato e riconosciuto dato il modo indicativo e il tempo futuro semplice: tu hai fiducia e vedi di buon occhio le seconde possibilità con la medesima persona, credi nella bontà dei ritorni? Una cosa però mi pare sicura e cioè che, pur non dimenticando e non volendo essere dimenticato da chi hai amato, l’amore raccontato in “La bocca del cuore” è ormai rimarginato come le cicatrici che espliciti sopravvivere anche alla felicità (sopravvivere non è vivere, implica l’aver sofferto e molto di più perfino soffrire per ciò che non è la compiuta esperienza di ogni appagamento propria della felicità; amore presente e dono dato ciò che è stato, racchiuso in te ma non presente inteso con spiragli nell’ora)… Sì, credo nei buoni ritorni anche se non sempre sono invero buoni, anzi questi sono rari e sono da prendere con le pinze perché “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Benché ciò sia vero per 90% delle persone, io però ne conosco alcune molto speciali che migliorano. Quindi sì, credo nel ritorno: lo prendo tuttavia in modo parecchio cauto, con cauto ottimismo e con il giusto distacco, dacché deve essere valutato. Nonostante tutto non nego che le persone possano tornare, possano cambiare e possano insegnare.

Da cosa pensi scaturisca la rabbia, e da cosa la gelosia? Esse ti connotano nel rapporto di coppia? Rabbia e gelosia chi non le prova?!? In misura diversa, ma noi tutti le proviamo, per forza. La rabbia, secondo me, nasce o da un senso di impotenza o da una mancanza di rispetto o da un qualcosa che abbiamo a cuore però per cui non veniamo capiti, né ascoltati e da ciò consegue che la nostra persona ne risulta ferita fisicamente oppure, soprattutto, mentalmente. La gelosia invece è sinonimo di enorme insicurezza, di non fiducia. E qui con gelosia non mi riferisco a quella di quando ci rendono gelosi apposta con delle azioni infantili, ma alla manipolazione e al bisogno di controllare tutto. La rabbia è ossia più “colpa” di un fattore esterno, la gelosia di un fattore interno.

La canzone “La bocca del cuore” poi prosegue <<(…) Dimmi solo che adesso porterai lì con te/ Anche solo un pezzo che ti parli di me/ Sogno ancora i tuoi occhi e le notti con te/ Abbracciati in silenzio vuoi sapere il perché/ Perché ho visto qualcosa, qualcosa di vero/ Era nostro e sincero, e ci ho creduto davvero/ Notte, anche di giorno è notte/ Accendo la luce ma è notte e dove sei (…) Ora quella che parla è la bocca del cuore/ forse è troppo diretta ma non chiede il tuo/ amore/ Spera solo che adesso porterai via con te/ Anche solo un pezzetto che ti parli di me>>.  In base all’ipotesi precedente secondo cui la razionalità (poiché la ragione etimologicamente è la capacità di discernere e quindi è possibile con la luce) è associabile al giorno e il cuore (in quanto il petto è quel che vi è di più lontano dalla razionalità) è associabile alla notte, codesti versi recitano che tu stai usando il cuore e anche laddove continui a tentare di attivare la ragione, come facevi prima, adesso è comunque il cuore ad avere la meglio; ed è il cuore che palesa che l’amata lo è stata ma ora è ricordo (e anche tu, parimenti, vorresti essere ricordato) e la bocca del cuore non chiede più il suo amore. Ti ritrovi in questa interpretazione? Mi ci ritrovo perfettamente; ed è la solita lotta, quel braccio di ferro tra cuore e cervello. Per perdonare il rancore, per abbandonare le armi non bisogna essere amici del cuore o amanti, ma bisogna solo essere due anime che si ringraziano per il percorso condiviso e che con una malinconica accettazione superano ed accettano quello che hanno avuto.     

Infine, nonostante di solito io lo chieda in principio, hai voglia di spiegarci perché proprio il titolo “La bocca del cuore” per tale brano? Personalmente propenderei per il ravvisare in ciò indizio del tuo essere dell’idea che siano le azioni e non le parole mosse e neppure e seppure quelle derivanti dal cuore ciò a cui non vuoi rinunciare e questo perché il dire è talvolta e per alcuni, oltre che potenzialmente per tutti, vettore di simulazione. Il fatto che la bocca sia del cuore, cuore che è muscolo involontario che in quanto tale non può fingere un moto (il camuffamento semmai appartiene ad un diverso dire rispetto a quello del cuore che è il caso del tuo singolo), mi confermi indicare come per te sia il cuore, sia l’agire, e non siano tanto le parole, a dover dimostrare l’amore? Confermo. I veri gesti d’amore, più che le parole, sono quelli a forma di tempo.

Concludo con l’osare una domanda forse inaspettata e coraggiosa, come magari la risposta …Vi è qualcosa che non hai mai confessato prima o che è una tua recente urgenza che celi dentro per pudore, per timore, per insicurezza ma che è giunta l’opportunità di palesare e hai piacere di condividere? Decisamente sì, per più motivi. Ci sono tante cose che non ho mai confessato, che sono mie recenti urgenze le quali, per come sono fatto, sicuramente racconterò ma attraverso le canzoni perché alla fine <<la musica è la lingua con cui parlo meglio>> [cit. da “Vorrei (La rabbia soffice)” https://youtu.be/pCZxGkYRBhE].  

Giulia Quaranta Provenzano