Lunedì 3 agosto è stato inaugurato il nuovo viadotto autostradale, Genova San Giorgio, che ha sostituito il ponte Morandi crollato parzialmente il 14 agosto del 2018 – causando la morte di 43 persone.

Il nuovo ponte, lungo 1067 metri, progettato dall’architetto e senatore a vita Renzo Piano, è stato aperto al traffico dal 5 agosto. Costituito da 19 campate che si trovano a 40 metri di altezza, sorrette da 18 piloni, sono stati utilizzati 67 mila metri cubi di calcestruzzo e 24 mila tonnellate di acciaio e carpenteria metallica per la sua realizzazione. Sui lati a nord e a sud due file di pannelli solari, a soddisfare il 95% del fabbisogno energetico della struttura e, sempre sui due lati della carreggiata, sono state distribuite 18 antenne luminose alte 28 metri così da rappresentare gli alberi del vascello a cui assomiglia il viadotto. A tali luci si aggiungono oltre 1000 plafoniere montate all’esterno dell’impalcato e 4 robot a pulire e monitorare il Genova San Giorgio.     


L’inaugurazione si è svolta alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale, prima della cerimonia, ha incontrato in prefettura i famigliari delle vittime decedute nel tragico crollo di due anni fa, poco prima di mezzogiorno. Uno dei tre piloni che sostenevano il ponte Morandi cedette, trascinando con sé un tratto di strada lungo circa 200 metri.

Ponte Morandi che era una delle principali vie di collegamento della città della Lanterna, costruito negli anni Sessanta tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano, a ovest dal centro. E proprio a proposito di vie, è sulle note della canzone “Crêuza de mä” di Fabrizio De Andrè che si è desiderato omaggiare il ricordo dei deceduti ma, aggiungerei, pure soprattutto trasmettere quell’impasto di vita che fa da sfondo alla malinconia che accompagna l’esistenza del marinaio. Mulattiera di mare nel senso di stretto sentiero in pendenza, tipico vicolo genovese detto carroggio/carugiu, posto appunto nel mare ad indicare un breve passaggio per salvarsi dagli alti cavalloni.

Canzone, quella del Grande cantautore nato a Pegli, che magistralmente evoca la quotidianità del navigante abituato a lasciare sulla terraferma i suoi affetti per avventurarsi nella solitudine delle acque, di quegli oceani d’ignoto che affronta e che spera ogni volta di poter raccontare tornando a casa. Ed io da ligure per metà, calabrese per l’altra mi sento viva proprio nelle buie notti marine. Mi sento viva, mi sento libera soprattutto, addirittura, nel cupo coro del fluido tanto famigliare alla nostalgia verso chi e peculiare di chi aspetta l’Amare.

Crêuza de mä” che va nel profondo del dramma umano, di cui la navigazione in mare aperto è metafora per eccellenza, giacché questo nostro soggiorno terreno è (o almeno dovrebbe verosimilmente essere) sempre un continuo di audaci partenze e di non meno audaci ritorni, fino all’ultimo viaggio della cui risacca non ci è dato sapere. In codesta maniera l’insuperabile Fabrizio De Andrè ha reso immortale la parabola della sua gente e di questo nostro transeunte navigar tra i giorni.  

Giulia Quaranta Provenzano