E’ possibile vivere nella società di oggi con ideologie molto particolari e uno stile di vita completamente avulso e fuori da ogni schema? Come si può fare una vita cosiddetta “normale” in queste condizioni?

E’ quello che cerca di svelare il racconto “Angelo” che narra la storia di un tortonese con una filosofia di vita profondamente diversa da quella della maggior parte delle persone.


E’ una delle 27 storie contenute nel libro del nostro Direttore, forse non la più bella a detta dell’autore, ma sicuramente la più particolare di tutte e l’unica che non è ambientata in un luogo ben definito.

Una storia bella, accattivante e reale perché narra fatti veramente accaduti. Una storia che, in occasione delle feste Natalizie, abbiamo deciso di “regalare” a tutti voi.

Buona lettura!

ANGELO

Angelo era una persona apparentemente normale: a volte un po’ lunatico, egocentrico, arrogante e persino presuntuoso. Poteva sembrare pieno di superbia ma in realtà si comportava così, solo perché era convinto che il suo modo di vivere fosse quello giusto e non riusciva a capire il motivo per cui, soltanto lui, avesse questa certezza.

Diceva che ognuno di noi possiede valori e capacità che altri non hanno e ognuno di noi, alla sua maniera, quindi, può essere superiore agli altri in qualcosa. 

“In definitiva – amava ripetere – tutti siamo superiori agli altri e tutti siamo inferiori e quindi uguali, solo che non ce ne rendiamo conto, perché invece di guardare i nostri punti di forza, ci soffermiamo su quelli altrui e diamo troppa importanza alle nostre debolezze.”

Questo comportamento, ovviamente, non era nelle sue corde: lui viveva secondo i suoi dettami senza guardare ciò che facevano gli altri. Una delle cose che lo rendevano felice era andare al cinema, soprattutto il sabato o la domenica pomeriggio, quando usciva di casa da solo e, per raggiungere la multisala cinematografica, attraversava un lungo parco ricco di piante di vario genere.

Era la passeggiata più bella che faceva, perché in primavera sentiva il profumo dei tigli, in estate dell’erba tagliata, in autunno dei fiori e delle foglie secche. Persino durante l’inverno era piacevole passeggiare nel parco: i raggi del sole lo scaldavano dal freddo e gli procuravano un grande senso di gioia.

Attraversare quel luogo era stupendo: per i colori che cambiavano ad ogni stagione e per quello che i suoi occhi potevano ammirare. Era il preludio a una della cose che amava di più: i film.

Andare al cinema, per Angelo, era qualcosa di unico e lo faceva regolarmente da oltre mezzo secolo, cioè dalla fine degli anni sessanta quando, da bambino, trascorreva interi pomeriggi al cinema, sia il sabato che la domenica. Allora, infatti, si poteva rimanere all’interno della sala cinematografica per un tempo indefinito: si pagava il biglietto, si entrava e si poteva  vedere un film anche due o tre volte di seguito, perché gli spettacoli si susseguivano uno dopo l’altro in continuazione, fino a mezzanotte.

Andare al cinema era facile: ogni qualvolta i genitori volevano fare sesso, infatti, gli allungavano i soldi del biglietto e lui, tutto contento ma ignaro di ciò che sarebbe accaduto fra le mura domestiche mentre era al cinema, se ne andava a vedere un film in una delle due sale cinematografiche vicino a casa.

Le prime volte era stato il padre ad accompagnarlo, poi gli insegnò la strada e da quel giorno iniziò ad andare al cinema sempre da solo. In fondo si trattava di pochi minuti a piedi. Lui era felice, e i genitori pure perché potevano fare l’amore e tante altre cose senza essere disturbati.

Gli addetti dei due cinema lo conoscevano bene: le cassiere, le maschere che strappavano i biglietti all’ingresso e perfino chi si occupava della proiezione dei film che, più di una volta, presi dalla compassione nel vedere quel bambino sempre da solo tutti i fine settimana, gli fecero vedere come funzionava la proiezione di un film, le pellicole e tante altre cose. 

Andare al cinema, per Angelo, era diventata talmente un’abitudine che divenne parte integrante della sua vita: gli piaceva immergersi anima e corpo in quello spettacolo e si posizionava sempre a metà sala, a volte, anche più avanti, perché voleva che le immagini coprissero tutta la sua visuale. Un’abitudine che aveva mantenuto anche da adulto.

Quelle ore trascorse all’interno del cinema, al buio e davanti allo schermo, lo isolavano dal resto del mondo e riusciva a vivere come se fosse parte del film che stavano proiettando. Qualsiasi cosa succedeva nella sua esistenza, lui, andando al cinema, si staccava dalla realtà, lasciava da parte i problemi della vita e, per breve tempo, riusciva a dimenticare tutto.

Era sempre stato così e lo era ancora di più in estate, quando, da ragazzo, c’era la possibilità di vedere tanti film a poco prezzo.

Una volta, infatti, anche le sale cinematografiche, come quasi tutti i negozi, chiudevano ad agosto: le città si svuotavano perché la gente andava in ferie in concomitanza con la chiusura delle fabbriche e durante mesi di Giugno e Luglio, visto che non si giravano nuove pellicole, le sale cinematografiche proiettavano quelle della stagione passata o degli anni precedenti a prezzi stracciati. Film che non si vedevano ancora in televisione come fanno adesso, perché la TV mandava in onda quelli di dieci anni prima e oltre.

Angelo in quel periodo andava al cinema almeno tre o quattro volte la settimana, se non di più: andava dai genitori a chiedere i soldi per il biglietto e loro non si lamentavano mai di questa richiesta, anzi, glieli davano molto volentieri perché così potevano trombare.

In quegli anni, durante l’estate, nelle sale cinematografiche non c’era quasi mai nessuno perché erano sprovviste di aria condizionata e, soprattutto a Luglio, faceva molto caldo.

Angelo, però, andava al cinema ugualmente: la voglia di guardare un bel film che non aveva potuto vedere nel corso dell’anno, era più forte di qualsiasi temperatura. Pur di andare al cinema si autoconvinceva che non faceva caldo e l’afa era sopportabile.

“Gran parte delle nostre funzioni vitali – pensava quando era ormai ragazzino – dipendono dal nostro cervello: è lui che orchestra tutto, che dà ordini al corpo su come agire, che organizza tutti i sistemi che ci mantengono in vita. Ma se il cervello dirige tutto, perché non può prendere ordini da me? In fondo il cervello è come una macchina e dietro ogni macchina c’è sempre un uomo che la dirige, per cui io posso dare ordini al cervello che a sua volta li trasmette al resto del corpo, che li esegue.”

Così quando andava al cinema al massimo della calura estiva, Angelo si autoconvinceva che non faceva caldo e che dentro la sala si poteva restare tranquillamente a vedere il film. Spesso era l’unico spettatore ma a lui non importava: la sua volontà, era più forte di qualsiasi temperatura.

Col passare del tempo questa pratica di “dare ordini al cervello” divenne così usuale che Angelo ne fece una prerogativa in molti aspetti della sua vita, anche da adulto, e divenne per lui, qualcosa di così normale, che non ci faceva nemmeno più caso.

Poteva fare a meno della sveglia: prima di andare a dormire dava l’ordine al cervello: “Svegliati a quest’ora” e immancabilmente a quell’ora precisa si svegliava. E tutto questo a prescindere dall’orario in cui si coricava.

Naturalmente non è poi così eccezionale, perché situazioni simili capitano a molte persone ma lui riusciva a farlo anche al contrario cioè diceva al cervello “devi dormire” e il suo corpo si addormentava.

La cosa, però, non finiva qui: Angelo era così convinto di poter dare ordini al cervello e che lui potesse in qualche modo controllare sé stesso e la salute del suo corpo, che arrivò a fare cose molto strane  per una qualsiasi persona normale.

Succedeva quando aveva la febbre, ad esempio. Da qualche parte aveva letto che il riposo fa guarire dalle malattie e così, quando arrivava la febbre, lui prendeva una tachipirina e si metteva a letto: dormiva per 24, anche 36 ore di fila, svegliandosi solo quando era sudato per cambiare i vestiti o per andare in bagno, e poi ritornava a letto e dormiva fino a quando la febbre non era scomparsa.

Quando, dopo oltre un giorno, si alzava, stava bene.

La stessa cosa era accaduta almeno una quindicina di volte per un dolore al cuore: ogni tanto aveva le palpitazioni oppure sentiva una forte stretta al petto. Quando succedeva non si perdeva d’animo si stendeva sul letto o sul divano, dava ordini al cervello di calmarsi, di rilassarsi e rallentare le funzioni vitali, fino a quando il dolore non se ne andava.

Ci volevano sempre alcuni minuti per farlo passare ma poi si alzava e ritornava a fare le sue solite attività.

Probabilmente era una cosa normale del suo organismo ma Angelo si convinse davvero di poter controllare – anche se solo parzialmente – le sue funzioni vitali.

Un’ulteriore prova di queste sue “capacità” la ebbe in altre occasioni: lui era un soggetto allergico con allergie temporanee che apparivano e sparivano, in più soffriva di reflusso gastrico. Una sera, in vacanza a Roma, si svegliò in piena notte: non riusciva a respirare e il panico di impossessò di lui. Sarebbe sicuramente morto se non avesse fatto appello alla sua fermezza mantenendo la calma e abbassando le funzioni vitali in modo che servisse pochissima aria per mantenerlo in vita.

Furono minuti interminabili e lunghissimi, poi passò. Stessa cosa accadde in un supermercato nella sua città, qualche anno dopo: era col carrello e stava facendo la spesa, quando un odore strano si infilò nel naso ed ebbe un attacco di asma (soffriva pure di quella). Capì che non riusciva a respirare, che l’aria gli veniva a mancare e lui si era dimenticato di portare con sè il broncodilatatore: si fermò in un angolo del supermercato, chiuse gli occhi, si estraniò dal mondo circostante e diede l’ordine al cervello “rallenta le funzioni vitali” e così riuscì a salvarsi.

Questi e tanti altri episodi aumentarono la sua convinzione di poter comandare la sua mente e quindi il suo corpo. 

Ogni volta che il suo organismo registrava una piccola disfunzione, come mal di testa, mal di stomaco, di denti, di ossa o uno dei tanti malanni che tutti sperimentiamo nel corso della nostra vita, lui li “guariva” con questo sistema: “Non devo pensare al dolore – diceva tra sé – mi concentro su qualcos’altro e su quello che devo fare e passerà da solo.”

Era una tecnica efficace che funzionava nel 90% dei casi e solo in rare occasioni in cui il dolore non si allontanava ma era persistente, Angelo ricorreva a un farmaco. Anche in quel caso, però, si autoconvinceva che era sufficiente una pastiglia per far passare tutto.

Inutile dire che, assumendo farmaci molto raramente, il suo organismo era molto più ricettivo ai benefici della chimica, per cui una pastiglia antidolorifica forniva già i suoi effetti dopo pochi minuti che l’aveva ingerita… 

La prima logica impressione che emerge dalla descrizione di questo incredibile individuo, è evidente: “non è normale”.

Qualsiasi persona con un minimo di razionalità, infatti, non può credere che sia sufficiente il pensiero per riuscire a fare tutte quelle cose.

Naturalmente la bibliografia è ricca di testi che parlano di guarigioni col pensiero, di testimonianze di persone che sono improvvisamente guarite da gravi malattie malgrado esami clinici inconfutabili. E’ sufficiente fare qualche piccola ricerca su internet che si apre un ventaglio di interventi, testimonianze, testi e trattati che coinvolgono anche persone ritenute autorevoli: medici o scrittori legati soprattutto a filosofie orientali e asiatiche. Nella stragrande maggioranza, però, si tratta di norme di vita o convinzioni che però nulla hanno a che fare con la scienza.

Inoltre, i casi trattati che leggiamo su internet, presuppongono un certo atteggiamento e un approccio verso la materia e verso particolari conoscenze che Angelo non aveva affatto, anzi: era perfettamente cosciente che questo suo modo di pensare e di affrontare i problemi di salute, fosse poco ortodosso.

Lui, infatti, non si era mai avvicinato alle filosofie orientali, non aveva studiato testi esoterici, né letto libri del settore e credeva fermamente nella scienza e nei suoi metodi.

Proprio per evitare di passare per matto non raccontò mai a nessuno, se non ai parenti stretti, i sistemi che utilizzava per affrontare i suoi  piccoli problemi di salute, anche se, effettivamente, sembravano funzionare.

Si può dire che se Fabrizio (è il protagonista della storia precedente che si trova sul libro – ndr) usava l’estro per realizzare le sue opere, Angelo, di sicuro, usava la fantasia nella vita quotidiana, che plasmava in base alle sue necessità. 

E’ ciò che pensai quando, tra il serio e il faceto, mi raccontò di questo suo approccio verso i problemi che lo affliggevano.

Una delle ultime volte che lo vidi mi accorsi che aveva la spalla destra molto più bassa dell’altra di parecchi centimetri.

“Cosa ti è successo?” gli chiesi preoccupato.

“Oh nulla, Ricky (è il protagonista del libro – ndr) – rispose lui – ha ceduto la spina dorsale. Ho avuto la conferma da alcuni esami clinici”

“Chissà che dolori.” chiesi preoccupato.

“Dolori? Ma assolutamente no – replicò lui con il suo solito sorriso – io non mi sono accorto di niente e non ho mai sentito alcun dolore, è stata mia moglie a farmi notare che ero storto e avevo la spalla destra molto più bassa della sinistra obbligandomi a fare esami che avrei tranquillamente evitato. Tu sai, però, come sono fatte le donne e così ho obbedito. Mi hanno diagnosticato che c’è stato un cedimento della colonna vertebrale ma io mi sento perfettamente a posto e poi, come sai, basta non pensarci e non dargli peso. Continuo a fare quello che ho sempre fatto e fanculo anche la spina dorsale.”

Questa fu la sua risposta prima di salutarci.

Di sicuro doveva avere una soglia molto alta di sopportazione del dolore, come gli disse una volta un medico quando, per togliere una ciste sebacea in testa, fu costretto a praticagli un iniezione sul cuoio capelluto: “Sentirà male” gli disse il medico, ma lui non provò assolutamente nulla e quell’ennesimo episodio aumentò ulteriormente la sua convinzione che il cervello, su suo ordine, poteva in qualche modo controllare il dolore.

Conosco Angelo da diverso tempo, fin da quando eravamo compagni di scuola alle medie, ed è sempre stato un personaggio molto particolare anche se apparentemente, per chi non lo conosce a fondo, sembra condurre una vita normale, con un lavoro, una moglie e un figlio.

Posso dire, però, che non è mai stato così e quelle descritte finora, sono soltanto solo una minima parte delle convinzioni che regolavano la sua esistenza. Molte delle sue teorie,  infatti, riguardavano il denaro. 

Sembrerà strano ma per Angelo il denaro non aveva alcuna importanza. O meglio: gli serviva per vivere e garantirsi una vita decorosa, ma per il resto contava poco o nulla.

Questo non perché fosse ricco, anzi, tutt’altro: era nato da una famiglia povera e lui stesso era un semplice impiegato statale con un normale stipendio.

I soldi gli servivano per comperarsi lo stretto necessario per vivere, pagare il mutuo dell’abitazione e al limite, quando arrivava qualche “premio” oltre allo stipendio, fare qualche viaggio insieme alla moglie e al figlio.

Angelo però si accontentava: per chi, come lui, da bambino, aveva sempre avuto poco o nulla, anche un gelato era qualcosa di apprezzabile.

Come per la vicenda degli “ordini al cervello” era convinto che bastasse poco per essere felici e aveva imparato ad apprezzare le piccole cose.

“Perché sono quelle – diceva – che ti fanno capire quanto sia bella e importante la vita.”

Aveva stabilito alcuni punti fermi nella sua esistenza che cercava di rispettare rigorosamente e a qualunque costo.

Alcune delle sue abitudini, oltre al cinema a cui non rinunciava mai, erano la pizza il mercoledì a mezzogiorno e il sabato sera, il bagno il sabato alle 13, le partite della Juventus in TV assolutamente da non perdere, la visita delle chiese il Giovedì santo, la messa la domenica delle palme (con l’ulivo) e a Pasqua, le partite alla Playstation con il figlio, la spesa il venerdì, il cappuccino sia il sabato che la domenica rigorosamente con la brioche, quattro caramelle (e sempre le stesse) quando andava al cinema e tante altre piccole manie o abitudini che formavano punti fermi nella sua vita.

Aveva creato quell’insieme di rituali apparentemente insignificanti, perché, come un autistico, trovava sicurezza nell’abitudine ma anche perché quelle attività lo rendevano felice.

Azioni perfettamente normali che si ripetevano da decenni ma quando le faceva, per lui, era come fosse sempre la prima volta.

“Adoro queste abitudini – ripeteva spesso sorridendo alla moglie e al figlio – perché sono le piccole gioie come queste che ci fanno apprezzare la vita.” 

Lui, infatti, provava gioia anche solo per fare una passeggiata in città, ammirare i portici, o magari gustare un gelato. Oppure andare al mare e pranzare con un panino o una semplice focaccia, davanti alle onde che si infrangono dolcemente sulla sabbia.

Il problema è che lui credeva davvero in tutto questo e aveva improntato la sua vita alla ricerca del piacere che danno le piccole cose e al “Carpe diem” imparando che adesso siamo vivi e fra un istante potremmo non esserci più.

In cuor suo sapeva di non essere una persona comune e ne era cosciente fin da ragazzino. Per questo cercò di avere una vita “normale” sposando una donna con la testa sulle spalle, quasi l’opposto di lui.

Fin dai tempi della scuola si notava che era diverso dagli altri e un po’ misantropo: non legava troppo con i compagni e anche nell’intervallo, preferiva stare da solo piuttosto che con gli altri. Un’abitudine, quest’ultima, che trasferì anche sul posto di lavoro, quando nella pausa pranzo i colleghi mangiavano tra di loro e lui preferiva farlo da solo. Tuttavia è sempre stato uno dei più bravi sia a scuola che a livello professionale.

Io ero uno dei pochi con cui parlava e con i quali, forse, si è aperto di più. Credo fosse il mio comportamento a rendermi simpatico ai suoi occhi e accadde fin dai tempi della scuola, da quando rifiutai il suo aiuto. Non ero certo bravo come lui ma riuscivo comunque ad avere un discreto rendimento in tutte le materie tranne che in matematica, che era il mio tallone d’Achille.

Durante i compiti in classe di quella materia, a differenza degli altri nostri compagni, infatti, io consegnavo sempre il foglio in bianco, senza scrivere nulla e prendevo regolarmente tre.

Lui se ne accorse si offrì di passarmi il compito in classe, o almeno una parte, ma io ho sempre rifiutato: tutti sapevano che facevo schifo in matematica e avrebbero capito che non sarebbe stata farina del mio sacco.

Angelo insistette per aiutarmi alcune volte, ma poi si arrese al mio diniego. Fu da allora che iniziò a parlare un po’ con me e diventammo amici.

Lui era una fucina di idee e aveva doti inventive non comuni.

All’età di 16 anni si accorse che il suo essere misantropo e una certa timidezza, rappresentavano un problema nei rapporti con le ragazze: ne conosceva davvero poche e cosi decise di mettere un annuncio di corrispondenza su un giornale di fumetti dell’epoca. Chiedeva di conoscere nuovi coetanei che avrebbero potuto scrivergli al suo indirizzo di casa. Era il 1975 e lui fu uno dei primi a farlo in Italia ricevendo tantissime lettere. Dieci, quindici, a volte anche oltre venti  al giorno, tutte da giovani della sua stessa età che gli scrivevano da ogni parte della Penisola e persino dalla Svizzera italiana e dalla Romania.

Non si aspettava un simile successo e si mise a fare la cernita. Scartò quelle dei ragazzi e fra le numerose ragazze rispose solo a circa la metà, a quelle che – in base alla descrizione che ognuna faceva di se stessa – gli piacevano di più, sia sotto l’aspetto fisico che caratteriale. Rispondeva inviando una sua fotografia e chiedeva a loro di fare altrettanto. Dopo alcuni mesi aveva ridotto ad una ventina le ragazze con le quali aveva deciso di intessere un rapporto epistolare continuativo e fra quelle ne scelse alcune che, dopo un congruo periodo di corrispondenza, decise di andare a trovare personalmente.

Prese il treno e si recò tre volte a Torino, una a Rivoli e un’altra ad Alba e un  paio di volte a Milano: arrivava verso mezzogiorno della domenica, trascorreva il pomeriggio con le ragazze e poi, la sera, rientrava a casa. In alcune occasioni venne pure invitato a pranzo dai genitori delle giovani e in un caso, lo ospitarono addirittura per il week end.

Accade a Bellinzona: Angelo aveva iniziato una fitta corrispondenza con due sorelle di nazionalità svizzera: Francesca che aveva la sua età e la sorella minore Anita, di due anni più giovane.

Dopo un po’ di lettere scrisse loro che sarebbe stato felice di conoscerle dal vivo e così i genitori delle ragazze lo invitarono nella loro villa per il fine settimana: Angelo arrivò all’ora di pranzo di sabato e vi rimase fino al tardo pomeriggio di domenica dormendo in un’apposita camera per gli ospiti, vicino alla tavernetta, mentre la famiglia, chiaramente benestante, dormiva al primo piano.

Furono tutti molto gentili: i genitori gli offrirono anche i due pranzi, la cena e la colazione e il resto del tempo lo trascorse insieme alle due sorelle e ai loro amici. Fu il week end più bello che aveva mai trascorso fino ad allora.

Lo scambio epistolare con le ragazze e la conoscenza diretta con alcune di loro gli servirono molto circa due anni dopo, quando, sempre allo scopo di conoscere nuovi amici e tante ragazze della sua città, tirò fuori l’ennesima idea e si inventò di organizzare la Festa dei coscritti per il 18esimo compleanno, quando tutti sarebbero diventati maggiorenni. Parliamo di una manifestazione che solitamente viene allestita nei piccoli paesi dove i giovani della stessa età non sono numerosi, e non certo in una città di circa 30 mila abitanti dove contattare così tante persone è praticamente impossibile. Lui però era testardo e così fece domanda all’ufficio anagrafe del Comune e si fece dare l’elenco di tutti i nati nel suo stesso anno, comprensivo di residenza anagrafica. Suddivise l’elenco per quartieri e andò a suonare i campanelli, casa per casa, di tutti i coscritti della città.

Me lo ritrovai davanti un sabato pomeriggio: stavo facendo i compiti, andai ad aprire alla porta ed era lui. Mi spiegò che con la scusa di chiedere a tutti se volessero partecipare alla festa dei coscritti, riusciva a conoscere tantissime persone e soprattutto molte ragazze. Mi raccontò diversi aneddoti: di chi era gentile e chi invece non apriva neppure la porta e mi disse che aveva fatto amicizia con molte giovani, fra cui alcune davvero carine e persino di quando una gli aprì la porta in sottoveste.

Dopo mesi di preparazione e lunghi giri nella città riuscì ad allestire la festa dei coscritti con messa, foto di gruppo, pranzo al ristorante e pomeriggio in discoteca e fu un successo. Era la prima e forse l’unica volta che veniva organizzata in una città di queste dimensioni.

Angelo era un fucina di idee e di inventiva, soprattutto quando vedeva qualche ragazza che gli piaceva. Fece tante di quelle cose particolari e strambe che è impossibile raccontarle tutte ma il massimo lo raggiunse il 31 dicembre di tanti anni fa.

Lui, all’epoca, aveva 21 anni e da circa due settimane aveva appena conosciuto Martina, quella che poi, col tempo, sarebbe diventata sua moglie.

Per far colpo su di lei decise di organizzare una festa di Capodanno invitando non solo la ragazza ma anche una sua amica e, ovviamente, diversi altri giovani fra conoscenze comuni e non. Le due ragazze, Martina e Marika avevano accettato di buon grado “ma siccome siamo minorenni – avevano obiettato – l’ultima parola spetta ai nostri genitori.”

Angelo, però, non aveva dubbi sulla loro presenza e così iniziò a preparare la festa.  

Non so come fece ma riuscì ad avere gratis un salone di una chiesa nel cuore della città per la notte di Capodanno, tramite un suo amico il cui padre faceva parte della confraternita che la gestiva.

Il 29 dicembre si presentò a casa mia e mi spiegò il suo piano. “Ricky – disse supplicandomi – devi aiutarmi e portare più gente possibile ad una festa che ho organizzato per il 31 dicembre e alla quale, ovviamente, anche tu sei invitato.”

Mi portò a vedere il locale e rimasi un po’ interdetto: il salone, a parte un tavolo e alcune sedie era completamente spoglio e i muri non erano imbiancati chissà da quanto tempo….

“Ma… e le pareti? Vuoi lasciarle in questo stato?” Feci perplesso

“Ma assolutamente no, tranquillo, ho un’idea e ci penso io. Il tuo compito, se accetti, è quello di convincere la gente a venire. Ognuno poi, dovrà portare cibo o bevande, in modo che possiamo divertirci. Ah, mi dimenticavo: puoi portare quel mangianastri che hai in casa con qualche musicassetta delle tue? Grazie, al resto penso io”.

Riuscì a convincermi e d’altro canto io ero uno dei pochi amici che aveva: come avrei potuto defilarmi?

 L’appuntamento era fissato per le 22 del 31 dicembre e quando entrai nel salone tutto era completamente diverso da quello che avevo visto due giorni prima: c’erano una ventina di sedie ai lati, un paio di tavoli pronti ad ospitare bibite e cibarie e le pareti tappezzate con manifesti di film, vecchi e nuovi! Angelo era andato al cinema e, forte delle sue pregresse conoscenze, era riuscito a farsi regalare decine di manifesti che aveva appeso alle pareti, coprendole tutte.

 La festa si presentava bene e vi parteciparono una quindicina di giovani, ma non Martina e Marika: le due ragazze non si fecero vedere. Brindammo al nuovo anno sentendo la musica, ma Angelo era imbufalito: aveva organizzato tutto per Martina e lei gli aveva dato buca. Il motivo (cioè che i genitori le avevano negato il permesso) l’avrebbe saputo solo qualche giorno dopo, perché a quel tempo, oltre 40 anni fa, non c’erano i mezzi di comunicazione di adesso e i genitori di Martina non avevano neppure il telefono in casa. Angelo pensava che le ragazze lo avessero fatto apposta per tirargli un “bidone” e la sua rabbia saliva in continuazione col passare del tempo. 

 Fu così che, mezz’ora dopo la mezzanotte, quando tutti avevano già dato fondo a patatine, biscotti, panettoni e dolci vari, lui si alzò invitandoci a tornare a casa: “Ragazzi – disse imperioso – la festa è finita, grazie a tutti per aver partecipato ma adesso devo pulire e voglio andare a dormire presto perché domattina devo restituire le chiavi della sala.”

Naturalmente non era vero perché sapevo che avremmo potuto rimanere lì fino all’alba ma lui ci cacciò fuori e non volle sentire ragioni: lui era l’organizzatore e lui decideva. Io fui l’ultimo ad andarmene e ricordo ancora quanto si arrabbiò.

Fu soltanto un episodio, perché dopo qualche tempo lui e Martina iniziarono ad uscire insieme e io lo vidi sempre più raramente.  

Dopo qualche anno si sposaro e la coppia ebbe un figlio ma Angelo, malgrado tutto, non riuscì mai ad avere una vita completamente normale. Il suo modo di ragionare era troppo diverso e non venne condiviso neppure dalle due persone che amava sopra ogni altra cosa.

Moglie e figlio, infatti, avevano accettato tutte queste sue stranezze, anche se non le approvavano e ogniqualvolta lui, nel corso degli anni, insisteva per convincerli della bontà delle sue idee, nascevano inevitabili conflitti verbali.

Il modo di vedere la vita di Angelo era troppo semplicistico, troppo facile, troppo lontano dalla realtà attuale.

“La vita vera – gli dicevano spesso la moglie e anche il figlio una volta adolescente  – è diversa da quella che credi, è dura e difficile. Tu vivi come fossi in una  bolla, ti adatti a stare dove di mettono e potresti vivere dovunque perché ti sei creato il tuo mondo; anche quando parli dei problemi della società o sei a contatto con le altre persone, lo fai sempre dall’interno della tua bolla. Magari ne esci per breve tempo ma poi, quando vedi che la realtà è diversa da quello che credevi, ci rientri perché non ti piace l’esterno. La vita non è quella che vorresti fosse, non è quella del cinema e dei piccoli piaceri, è diversa. E’ fatica, è difficoltà ed è rapporti con le persone, che sei costretto ad avere. Quei rapporti che tu cerchi di evitare ma non è sempre possibile… Tu, anche al lavoro, stai rinchiuso nel tuo ufficio e hai pochi contatti con gli altri ma devi capire che la tua, non è la vita che vivono tutti.”

Non c’era astio in quelle parole, perché sia la moglie che il figlio lo amavano e lo apprezzavano per ciò che era, ma semplicemente un’analisi fatta da quelle persone che forse, proprio perché lo conoscevano, avevano compreso la sua diversità ma non il suo modo di vivere e, secondo il loro punto di vista, per il suo bene, cercavano di riportalo coi piedi per terra.

Discussioni e scambi di opinioni che duravano da parecchio tempo ma non riuscivano a scalfire minimamente le convinzioni di Angelo sulla scarsa importanza del denaro, sull’idea che si può vivere cercando di fare solo ciò che ci piace, sul valore delle piccole cose e tanto altro.

Ognuno di noi due ha seguito la propria strada ma ogni tanto ci incontriamo in città e ci fermiamo a parlare: non è mai cambiato e continua a non apprezzare la società attuale e i suoi valori.

Non è  felice che le sue idee non siano condivise dalla sua famiglia ma sa che non può farci nulla, perché malgrado tutto, questo è il luogo e il tempo in cui è chiamato a vivere.

A volte, però, quando la sua sopportazione raggiunge il limite, si veste, scende le scale e imbocca la strada che passa nel parco e lo porta al cinema: lì ritrova tutti i suoi pensieri felici.