Veniva maltrattato da tempo da due donne, madre e figlia, già note alle Forze dell’ordine per i loro trascorsi giudiziari, che col tempo, da sue “amiche” e vicine di casa, sono diventate le sue aguzzine.

È la triste storia di un anziano ottantenne di origini sarde che, da lungo tempo rimasto solo dopo la separazione dalla moglie, trasferitasi fuori regione coi figli, ha scelto di rimanere a vivere a Imperia ma, col passare degli anni e con le malattie che lo hanno colpito sempre più pesantemente, ha perso l’autosufficienza ed ha avuto bisogno di assistenza, affidandosi, purtroppo, alle persone sbagliate, che si sono offerte di assisterlo non certo per amor suo ma sulla base di una precisa e ben pianificata strategia criminale.


Il turpe piano è stato però interrotto grazie alle segnalazioni pervenute alla Polizia di Stato da alcuni abitanti dello stabile che hanno riferito di sentire spesso le urla di dolore dell’anziano e rumori sordi che sembravano provocati da schiaffi, oltre a ingiurie ripetute nei suoi confronti da parte delle sue “badanti”, anch’esse, come lui, assegnatarie di un alloggio di edilizia popolare a Imperia.

Coordinata dalla Procura della Repubblica di Imperia, la Squadra Mobile avviava immediatamente un’articolata attività investigativa che consentiva di riscontare il fondamento delle segnalazioni ricevute.

Le due donne si “occupavano” dell’anziano con modalità violente e vessatorie – costretto a letto a causa di gravi patologie invalidanti che non lo rendevano autosufficiente – gestendone in toto le entrate economiche, costituite principalmente dalla pensione (l’indagata più giovane, una 37enne imperiese, aveva anche ottenuto la delega ad operare sul suo conto corrente).

Oltre alle dichiarazioni dei testimoni, sono stati predisposti dei servizi di osservazione effettuati dagli investigatori e acquisite le registrazioni effettuate tramite l’installazione di una “cimice” nella camera da letto in cui l’anziano trascorreva ogni momento della sua vita, principalmente solo – le “visite” delle due “badanti” erano sporadiche e di breve durata – e con l’unica compagnia di un televisore ininterrottamente acceso giorno e notte.

Che potessero essere “monitorate” tramite una “cimice” le due donne – consapevoli delle illecite modalità con cui accudivano l’anziano – lo avevano sospettato, procedendo addirittura a far “bonificare” la stanza – pur senza esito – ma ciò nonostante non sono riuscite a “trattenersi”.

Specialmente la più anziana (una 54enne di origini calabresi), più assidua frequentatrice dell’abitazione della vittima, nell’attendere all’igiene intima ed alla somministrazione dei pasti si lasciava andare a gravi condotte di maltrattamento, percuotendolo ripetutamente  con quelli che definiva “massaggi” o “massaggini” ma che, in realtà, erano veri e propri schiaffi, come l’uomo aveva capito così bene che bastava prospettarglieli per intimorirlo ed indurlo all’obbedienza; inoltre, lo dileggiava con frasi ed allusioni sessuali, insultandolo e minacciandolo poiché, incapace di trattenere i propri stimoli fisiologici, forse a causa del prurito, si toglieva talvolta il pannolone e sporcava il letto.

Quando la situazione è risultata chiara nella sua gravità, gli inquirenti hanno prontamente messo fine ai soprusi, intervenendo con l’assistenza dei Servizi Sociali del Comune e mettendo in sicurezza l’anziano in una struttura adeguata alle sue necessità di salute ed assistenza.

Il contesto in cui l’uomo è stato trovato ha fornito ulteriori elementi importanti ai fini accusatori: oltre ad un fortissimo odore nauseabondo, sono stati rinvenuti molti alimenti scaduti e/o inadeguati all’età ed alle patologie, evidenziandosi una situazione di generale e grave incuria.

L’anziano ha accolto tutti, poliziotti ed operatori socio-sanitari, con un’espressione di evidente sollievo e gratitudine, atteggiamento opposto a quello delle due donne, la più anziana arrestata e condotta nel carcere di Genova (come disposto dal G.I.P. di Imperia, evidenziando come ogni misura meno grave sarebbe stata inadeguata a fronteggiare le esigenze cautelari, considerato il rischio che le condotte di maltrattamento avessero come ultima finalità di non far vivere a lungo l’anziano), sua figlia, invece, indagata in stato di libertà.

Prima di essere arrestata, infatti, la destinataria dell’ordinanza di custodia in carcere ha aggredito un poliziotto con dei colpi in testa, cercando di accedere nell’abitazione della “sua” vittima, evidenziando ancora una volta la sua indole violenta, costatele un’ulteriore denuncia per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.

L’attività investigativa condotta dalla Squadra Mobile, coordinata dalla Procura della Repubblica di Imperia, che ha permesso di interrompere i maltrattamenti ai danni di un anziano ottantenne da parte di due donne, la più anziana delle quali finita in carcere, dove è tuttora detenuta, ha consentito anche di ricostruire il “movente” della “presa in carico” della vittima da parte delle due indagate e portare alla luce ulteriori reati sempre connessi alla gestione dell’anziana vittima.

Innanzitutto si verificava che la “giovane”, che si presentava come nipote dell’anziano senza esserlo realmente, lo aveva convinto a trasferirsi nell’appartamento attiguo a quello assegnato alla madre ed in base ad un progetto fraudolento aveva preso la residenza presso l’abitazione del maltrattato in modo tale da poter vantare, dopo qualche tempo, un titolo preferenziale per l’assegnazione dell’immobile in suo favore alla morte dell’anziano; “assisterlo” altro non era se non lo strumento per giustificare l’illecita operazione.

Nel dettaglio, attestando falsamente di esserne la nipote, aveva richiesto la variazione di abitazione popolare dell’anziano, già assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica, ottenendone la collocazione, nello scorso mese di marzo, nell’appartamento adiacente all’unità abitativa di sua madre ed aveva, subito dopo, anche “preso la residenza” presso l’abitazione dell’anziano, sempre sostenendo di esserne la nipote.

Il motivo di tali “manovre” è apparso da subito chiaro agli investigatori: la Legge Regionale della Liguria in materia di assegnazione e gestione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, infatti, prevede che in caso di decesso dell’assegnatario subentrino nell’assegnazione – purché la convivenza risulti dimostrata anagraficamente al verificarsi dell’evento – il coniuge o il convivente di fatto dell’assegnatario e gli ascendenti di qualsiasi componente del nucleo assegnatario, ovvero anche i nipoti discendenti in linea retta dall’assegnatario, in alcuni casi, tra cui quello in cui abbiano risieduto anagraficamente nell’alloggio in modo continuativo nei quarantotto mesi che precedono la data del decesso dell’assegnatario per comprovata finalità di assistenza socio sanitaria.

Quindi, l’idea era quella di un’assistenza “a tempo determinato”, il tempo necessario a potersi “impossessare” del suo alloggio di edilizia popolare. Nel frattempo, intanto, si sarebbe potuto gestire la sua pensione ed altre “entrate” economiche (la più giovane delle indagate si occupava, infatti, di ogni pratica relativa all’anziano, ivi compresa quella volta a far ottenere l’indennità per l’accompagnamento), riducendo al minimo le “uscite”, se è vero che all’anziano venivano addirittura somministrati cibi scaduti.

Per tranquillizzare l’unico figlio rimasto in contatto telefonico col padre, gli veniva riferito che l’anziano stava bene ma era diventato sordo e quindi non poteva sentirlo, pertanto avrebbe dovuto “accontentarsi” di un rapido saluto e di qualche filmato pre-registrato (magari in quei pochi momenti in cui l’uomo veniva lavato e messo a sedere) ed inoltrato via Whatsapp.

Ma l’indagine ha fatto emergere anche ulteriori illeciti. L’anziano, infatti, oltre che dalle badanti “aguzzine”, è risultato aver ricevuto assistenza anche da badanti “fantasmi”: potendo approfittare della gestione esclusiva dell’anziano, la più giovane indagata ha assunto fittiziamente, nel periodo estivo, una badante straniera, che grazie al (falso) contratto di lavoro ha potuto chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto.

Addirittura, per far si che in caso di controlli la giovane straniera potesse fornire una precisa ricostruzione dei luoghi e “mascherare” la fittizietà del contratto di lavoro, l’indagata l’aveva accompagnata a casa dell’anziano, istruendola anche sulle ulteriori circostanze da riferire nel caso in cui l’artificio fosse venuto alla luce. Peccato, però, che dell’anziano non si sia mai realmente occupata e che addirittura abbia dovuto pagarsi da sola i contributi previdenziali.

Sono in corso, sul punto, ulteriori indagini, finalizzate a verificare l’eventuale falsità anche di ulteriori contratti di lavoro stipulati (apparentemente) dall’anziana vittima con altri “badanti immaginari” che risultano assunti negli anni precedenti, oltre che a disvelare il “corrispettivo” a beneficio dell’indagata per la disponibilità a stipulare i falsi contratti di lavoro.