É possibile raggiungere una certa forma di felicità anche da adulti? Ma soprattutto, cosa significa essere felici?
Forse ricchi, potenti e famosi? Avere tutto dalla vita o almeno ciò che si è sempre desiderato?
Oppure avere molto più degli altri in modo che nessuno possa essere come noi?

Se così fosse, la felicità non esisterebbe, perché ci sarà sempre chi avrà qualcosa che noi non possiamo avere.
Proprio per questo, molte persone dicono che la felicità non esiste: non l’hanno mai provata o, se l’hanno vissuta, non sono stati in grado di riconoscerla e apprezzarla.


Forse credevano che la felicità fosse uno stato permanente o qualcosa che una volta raggiunta, diventasse per sempre, ma purtroppo non è così.
Alla domanda “Sei felice?” infatti, ognuno di noi risponde in base al momento in cui si trova il suo stato d’animo.
La stessa domanda fatta in periodi di tempo diversi comporterà risposte diverse.

La felicità che potrebbe avvicinarsi a quella dell’infanzia e che noi cerchiamo di continuo, quindi, non può essere considerata uno stato definitivo, ma qualcosa di temporaneo che può verificarsi a seconda degli avvenimenti che ci vedono protagonisti, ma anche in base al nostro approccio, allo stato d’animo e mentale in cui ci troviamo quando questi accadono.

Anche l’altra domanda “sei stato felice?” rivolta a persone anziane, implica che l’interlocutore faccia un bilancio della propria vita e dia una risposta sommaria. Naturalmente questo non significa che sia sempre stato felice. La sua risposta sarà basata su tutta una serie di considerazioni che dipendono dai ricordi tristi o gioiosi che affiorano in quel momento o se ha dato più importanza ai primi o ai secondi.

La felicità degli adulti, quindi, è qualcosa di impalpabile e temporaneo che dipende soprattutto dal grado di soddisfazione che riusciamo a dare alla nostra vita.
Le persone insoddisfatte non potranno mai considerarsi felici perché non riescono ad apprezzare pienamente ciò che possiedono, così come gli invidiosi che perdono la vita a guardare gli altri per confrontare chi ha di più.
Entrambi vivranno momenti felici ma saranno molto brevi perché non sapranno riconoscerli e apprezzarli.

Ci sono due livelli di felicità: uno generale, basato sulla condizione globale della nostra vita, e uno più piccolo, circoscritto ai singoli momenti.
Potremmo ipotizzare che la felicità sia come un conto in banca: si costruisce alimentandolo giorno dopo giorno. Ogni volta che viviamo momenti di gioia e allegria, questi rimangono scolpiti nella nostra mente ed entrano nel bagaglio dei ricordi felici. Vengono accantonati e vanno a sommarsi a quelli già presenti. É come se facessimo un versamento in banca: il conto sale e continua a crescere nel segno positivo.
La stessa cosa succede quando viviamo momenti tristi e bui, quando abbiamo problemi di qualsiasi natura e siamo infelici. Anche i brutti ricordi vanno ad aggiungersi al bagaglio della nostra vita ma faranno da contraltare ai precedenti, influendo negativamente.
É come se andassimo a prelevare dal nostro conto corrente, che si assottiglia sempre di più.

É evidente che più denaro versiamo in banca e maggiore potremo prelevarne in caso di bisogno, in modo che anche in presenza di grandi emergenze, il conto continuerà a rimanere positivo.
Così accade anche per le vicissitudini della vita: più viviamo momenti felici, più il nostro credito si accumula, per cui se riuscissimo ad alimentare più possibile la parte positiva, saremmo in grado di sopportare quella negativa, anche se i momenti che viviamo al presente influiscono molto di più sui ricordi e se il presente è negativo c’è il rischio tangibile di dare una connotazione buia a tutta la nostra vita.
Se riusciamo a catalogare nel tempo e nella giusta dimensione anche i ricordi del presente senza attribuire loro una sproporzionata importanza, quando arriveremo al termine della nostra vita e inevitabilmente ci volteremo indietro ad analizzare il passato, il bilancio sarà sicuramente più equo.

Se i momenti tristi e le somme “prelevate” saranno superiori ai versamenti, però, il conto verrà chiuso “in rosso” e il nostro vissuto risulterà un fallimento.
Ma come incrementare, allora, il conto corrente della vita per evitare quest’ultima ipotesi?
Una soluzione potrebbe essere quella di fare tanti versamenti, anche di piccola entità, cercando di assaporare quelle schegge di felicità che ci colpiscono nel tempo: il primo bacio da ragazzi, la visione di un buon film, ridere dopo una barzelletta, mangiare un gelato in compagnia della persona amata o degli amici, un pomeriggio al mare, un tramonto, o uno degli altri innumerevoli momenti di gioia e allegria che ci accadono nel corso degli anni.
La ricerca della felicità è anche saper cogliere l’attimo fuggente di questi piccoli episodi, memorizzarlo, metterlo nel bagaglio dei ricordi per tiralo fuori al momento opportuno, quando la tristezza avrà il sopravvento e busserà alla porta reclamando il suo ruolo.

Poi c’è anche la gioia più lunga, magari duratura, la felicità intesa in senso lato, quella agognata da tutti di noi. Per alcuni identificata in un matrimonio ben riuscito o nei figli che ci riempiono d’orgoglio e tanto altro, ma forse, questa, non è che la somma di tutti i nostri piccoli momenti felici che accumuliamo nella speranza che, una volta arrivati alla fine, il nostro conto corrente rimanga in nero.

Quello che avete letto è un capitolo del libro “Le Tre scelte della vita” scritto dal sottoscritto, Direttore di questo giornale. Un omaggio per il nuovo anno che spero possiate aver gradito.

Angelo Bottiroli