Come ogni anno ci ritroviamo nella solennità di san Marziano per celebrare il fondatore della nostra Chiesa tortonese. Nel suo martirio riscopriamo la bellezza del dono totale di sé, gesto d’amore che ha la forza di sostenere nel tempo la vita di una intera comunità. Per questo il vescovo Marziano continua ad offrirci l’occasione di riflettere sulla nostra città. Italo Calvino, nel suo romanzo Le città invisibili (1972) immagina un dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari, Kublai Kan. Il grande viaggiatore descrive all’imperatore le città del suo regno con l’intento di scoprire le ragioni nascoste che hanno portato gli uomini a vivere nelle città. In quelle motivazioni si trova il fondamento capace di sostenere ogni comunità umana nelle inevitabili crisi del suo vivere.

Così Calvino fa dire a Marco Polo: «È delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli e ogni cosa ne nasconde un’altra».

Anche Tortona è fatta di desideri e di paure. Non ho certo la presunzione di saper dare loro un nome preciso: sarei già contento di poter riflettere con voi per riuscire a farlo insieme. Ciascuno di noi è una fucina di desideri che si ricreano senza fine: è questa una caratteristica tipica dell’essere umano. I nostri desideri sono radicati in un presente segnato dall’esperienza del limite, di ciò che manca, ma al tempo stesso ci proiettano in una dimensione di futuro, capace di esprimere le ragioni profonde del nostro vivere. La risposta alla classica richiesta “esprimi un desiderio”, dice molto di noi, sia delle nostre attese sia della soluzione che diamo alla domanda di senso che la vita ci pone. Il desiderio è qualcosa di più profondo di una fisiologica sensazione che nasce da un bisogno, da una pulsione, dall’istintualità. Non è facile comprenderlo in una cultura così secolarizzata come la nostra. Troppo spesso il desiderio sembra determinato esclusivamente da beni materiali, in un continuo rincorrersi di temporanee soddisfazioni e di persistenti mancanze.

Che cosa veramente può saziare il nostro desiderio? L’esperienza umana dell’amore ci rivela che il desiderio si sazia solo nell’apertura verso l’altro, nell’andare oltre se stessi, nel decentrarci, nel metterci a servizio. In fondo desideriamo amare ed essere amati, desideriamo essere desiderati. È molto più che la soddisfazione di un bisogno, potremmo dire che è una “vocazione”, un disegno che orienta tutta l’esistenza. Anche Tortona, come ogni città dell’uomo, è costruita su questo desiderio d’amore che è l’unica realtà capace di darle un orientamento: la politica ha il compito di tradurlo nello spazio e nel tempo, nelle scelte e nelle leggi. Le paure nascono dalla mancanza di prospettive, dall’assenza di un progetto. Sono la conseguenza del sentirsi prigionieri di un sistema che sembra non permettere il desiderio, nemmeno nella forma della fantasia, che nega la possibilità di un mondo diverso, di un orizzonte più vasto. La paura rischia così di diventare angoscia che ci paralizza, in sempre più frequenti attacchi di panico di massa.

Che cos’altro sono i tanti episodi di intolleranza che sempre più spesso e tragicamente segnano le nostre città? La prima cosa che sparisce nel buio delle nostre paure è proprio l’altro, avvertito dapprima come estraneo, poi come nemico, per essere, infine, cancellato dall’indifferenza. I muri che ci separano sono fatti con le pietre delle nostre paure che non costruiscono case, ma tombe. Così la comunità si disintegra in una frammentazione di individui e questo è il primo passo verso ogni totalitarismo. La storia è sì maestra, ma troppo spesso senza alunni. Anche Tortona, come ogni città dell’uomo, ha le sue paure: per conoscerle basta individuare le sue chiusure all’altro. La comunità cristiana vive la città per ricordare che non c’è paura che non possa essere sconfitta. Anzi: le paure possono rilanciare il nostro desiderio. In che modo? Anzitutto dobbiamo imparare o re-imparare le gioie autentiche della vita: lo stare insieme, l’amicizia, la famiglia, la solidarietà, il servizio, l’amore per la bellezza, per l’arte, per la creazione.

È il modo per affinare in noi il desiderio – vale a dire la necessità di essere amati amando – e purificarlo da una mentalità consumistica che tutto appiattisce nella insipida banalità di una egoistica soddisfazione. Dobbiamo, poi, non accontentarci. Non si costruisce la città vivacchiando, appagati dei risultati raggiunti o, ancor peggio, che presumiamo di aver raggiunto. Penso ad una sana inquietudine che –anche a partire dagli indicatori particolarmente efficaci che sono le nostre paure – ci porta a cercare un bene più vero, più profondo. Il dinamismo del desiderio si apre così a percorsi di redenzione, di purificazione, di guarigione. Da questo dipende la nostra felicità. Chi crede ha accolto una rivelazione che illumina da dentro quanto abbiamo detto: «Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 27). Dunque, continuiamo a costruire la nostra città. Insieme: Amministrazione, Istituzioni, Fondazione C.R. Tortona, Associazioni, Imprese, singoli cittadini e comunità cristiana. Il Signore, per intercessione di san Marziano, benedica l’impegno di tutti.

+Vittorio Viola