La vicenda che ha visto lo spolpamento dell’ospedale di Tortona merita alcune profonde considerazioni sui ruoli dell’Asl e della Regione

 Il principio di separazione tra attività di indirizzo, spettante all’organo politico, e gli atti ad esso conseguenti, quelli di gestione concreta, di attuazione, spettanti alla dirigenza, possono far presumere che in certi casi le linee di confine che separano effettivamente l’azione politica da quella gestionale siano diventate, per usare un eufemismo, “elastiche e modificabili”.

Secondo i giudici contabili torinesi, la dirigenza (ASL, in questo caso) dovrebbe essere in grado di saper utilizzare le risorse umane, finanziarie e strumentali nel rispetto delle regole cui è improntata l’azione della Pubblica Amministrazione, dove certamente il momento dell’efficienza non deve essere dissociato da quello della legalità/garanzia (criterio quest’ultimo posto a tutela della collettività amministrata). Di particolare rilievo e pregio è, da parte dei giudici, la considerazione che alla dirigenza spetta l’irrinunciabile compito di vigilare continuamente sul rispetto del principio di legalità, in quanto l’amministrazione (ASL AL in questo caso), pur nel rispetto degli indirizzi politici deve “garantire la legalità e l’imparzialità dell’attività amministrativa difendendola dalle influenze della (cattiva) politica”.

L’organo di governo (Regione Piemonte) mediante direttive espresse con provvedimenti di giunta ha manifestato con chiarezza l’intento di procedere alla riorganizzazione del sistema sanitario regionale, identificando la nuova geografia ospedaliera in attuazione del Patto per la salute redatto da Renato Balduzzi. L’ASL AL, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non risulta abbia argomentato sul tema con la Regione, anzi, secondo quanto riferito pubblicamente dallo stesso Assessore alla Sanità “Siamo anche intervenuti con indicazioni precise per dare attuazione concreta alle scelte di programmazione assunte ormai da tempo.”(1)

Purtroppo per Saitta, la Corte dei Conti precisa, nella sentenza sopra riportata, che la direttiva o atto di indirizzo dell’organo di governo, deve limitarsi a definire linee generali dell’azione, mentre spetta al dirigente (ASL AL) capire quale tra le possibile alternative gestionali sia la più idonea, caso per caso.

La direttiva, per essere tale, non può definire il dettaglio. Né il dirigente, per quieto vivere o per prassi, prima di adottare il provvedimento gestionale, può proporre all’organo di governo un cosiddetto atto di indirizzo, che approvi in realtà (o dia il benestare) alla scelta tecnica, che in quanto tale non può appartenere alla sfera d’azione della parte politica.

Esiste, e deve continuare ad esistere, un muro di confine tra politica e gestione, mentre l’intero sistema di riforma della pubblica amministrazione si fonda proprio sulla marcata distinzione di competenze che separa l’organo di governo dalla dirigenza. La direttiva come surrogato di una gestione attiva diretta, pertanto, oltre a violare l’autonomia della dirigenza, si prospetta come atto contrario al sistema organizzativo delineato dal D.Lgs 29/93.

Quale margine decisionale poteva avere un qualsiasi dirigente ASL AL che, pur trovandosi davanti a scelte aziendalmente discutibili (anche se per esserne certi manca la controprova) doveva forzatamente provvedere a darvi attuazione, utilizzando le competenze e le prerogative relative alla sua funzione, ovvero gestendo concretamente attraverso atti aziendali quasi preconfezionati e calati dall’alto?

Annamaria Agosti


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