Non c’è bisogno di andare a cercare i dati dell’Istat, o quelli dei nostri servizi, per rendersi conto che siamo più poveri. Potremmo metterci qui a dire ancora una volta le migliaia di persone incontrate, le decine migliaia di pasti, di notti in accoglienza, le poche o tante risorse in denaro erogate a chi ha bisogno: fotografia che scorre veloce senza impressionare più nessuno, a parte le grida un po’ esagerate dei giornali. Stiamo toccando con mano che la povertà è qualcosa che ci riguarda, non solo nel fare il bene, ma ci tocca di persona. Abbiamo passato un anno impegnativo: ci hanno torchiato con le tasse, abbiamo visto chiudere e non riaprire le fabbriche, fallire diverse attività commerciali, anche l’edilizia ha avuto un arresto. Eppure riusciamo ad incassare anche questa situazione: si da fondo ai pochi risparmi e si campa come si può.

 

SOLO UNA PERSONA SU 10 E’ RICCA

La ricchezza resta sempre più in mano a meno del 10% della popolazione e la restante parte guarda con maggiore difficoltà in avanti, sempre più piegata sull’oggi e sulla sopravvivenza. Purtroppo la povertà la tocchiamo con mano non solo perché diminuiscono le risorse, ma anche perché siamo più soli, in un orizzonte sempre più piccolo e vicino. L’aver impegnato molte energie nell’avere sempre più cose ci ha fatto scoprire la mancanza di tempo per le relazioni, per gli affetti più cari e per quelli quotidiani: la solitudine e l’indifferenza ,se non l’insofferenza , mietono ancora molte vittime. Abbiamo così scoperto che l’altro è un concorrente, che il poco che abbiamo deve essere diviso e difeso dai più forti, che non ci può essere spazio per il debole e il fragile, a meno che il “fragile” non siamo noi. Si tratta invece di acquisire uno sguardo diverso su se stessi, sulle persone e sul mondo, per poter trovare tempi e luoghi fecondi per vivere il presente, progettando il domani, tessendo relazioni e reti, individuando forme sostenibili di sopravvivenza e di convivenza civile. Ci si rende conto che la prima dimensione di realizzazione è il lavoro, ossia ciò che oggi è maggiormente in crisi. Si evidenzia sempre più il percorso perverso che ha portato a guardare al lavoro sempre più come mezzo per concentrare la ricchezza in mano di pochi. Non possiamo non sottolineare come il modello economico industriale abbia curato maggiormente l’interesse degli azionisti rispetto a quello di chi ha mandato avanti la fabbrica per anni: si è tornati forza lavoro, in competizione con l’impossibile concorrenza del mercato del lavoro nei paesi in via di sviluppo, svuotando così la dignità del lavoro e creando guerra tra poveri per un pezzo di pane. Non possiamo che auspicare un modello differente, nel quale crescere non solo in PIL, ma in dignità, in possibilità concreta di pensare al futuro e ai figli, perché il lavoro sia una sicurezza. Non può essere nostra la ricetta: possiamo offrire solo un modesto contributo, intervenendo solo accanto a chi non riesce a stare al passo.

 

SPERIAMO CHE…..

Ci affidiamo ancora una volta alla politica, nella speranza che volti pagina rispetto al peggio di sé che ha evidenziato in questi ultimi anni: le attenzioni che vediamo ancora presenti sullo scenario locale e nazionale non appaiono confortanti. “Per il bene del paese” abbiamo visto naufragare importanti riforme, non affrontare temi scottanti della vita pubblica, tagliare su risorse destinate al contrasto dei problemi più forti e quotidiani delle persone (la malattia e sofferenza, la non autosufficienza, la povertà, la dipendenza, gli handicap e l’invecchiamento, la crisi familiare., …): l’attenzione della politica è ancora narcisisticamente, ma interessatamente, centrata su chi deve esserci e non sui problemi, sui progetti. Vorremo vedere uno spettacolo diverso: su questa linea, per quello che ci è dato, offriamo tutto il nostro impegno, perché i problemi delle persone non siano dimenticati da parte di chi si occupa della cosa pubblica. Dobbiamo trovare ancora una volta la forza di guardare avanti e di non chiuderci ognuno nel proprio guscio, difendendo all’infinito quello che siamo e che abbiamo. Possiamo rafforzare il nostro quotidiano se saremo ancora capaci di uno sguardo solidale, fraterno, capace di prossimità con chi abbiamo accanto. Da soli siamo perdenti, insieme abbiamo più possibilità di fare in modo che questo tempo e questa vita sia la nostra.

 3 gennaio 2013