Mentre in Provincia non trovano di meglio da fare che premiare il “valoroso” cacciatore che ha ucciso il terzo daino per grandezza sul territorio italiano, il cui palco di corna risulta un trofeo maestoso e degno di essere appeso quale risultato di una stagione piena di fatiche ed insidie, in Regione si è in lotta contro il tempo per evitare il referendum che, dopo ben 25 anni di battaglie da parte del Comitato Promotore che all’epoca raccolse più di 60.000 firme degli allora cittadini contrari alla caccia. E tutto questo alla faccia della democrazia!

Basti pensare che i cacciatori piemontesi rappresentano lo 0,6% della popolazione in Regione, ad una prima analisi della situazione, parrebbe scontato lo stupore di come mai le istituzioni si prendono tanto a cuore una minoranza di persone così risicata. Sarà forse che i politici tengono alla difesa delle minoranze per difendere i loro diritti? No signori. Sarà allora che chi ci governa è veramente convinto che i cacciatori siano i protettori dell’ambiente? Ancora no. E allora, perché un manipolo di baldi ormai anziani “sportivi” armati di fucile, la cui età media è ben al di sopra dei 70 anni, è così protetta, garantita e tutelata? E come si spiega che siamo il primo Paese (ogni tanto anche noi, ma in negativo) ad avere sanzioni altissime dalla U.E. per violazione delle leggi sulla caccia, che i cittadini italiani pagano regolarmente di tasca propria a loro insaputa? Anche se non riusciamo a comprendere tutto ciò, una risposta c’è eccome!

Esiste una economia dietro le doppiette che nessuno può immaginare.

Avere sempre disponibili animali per il tiro al bersaglio, è conseguenza dell’esistenza di un indotto di aziende che li producono, li immettono nei terreni, li catturano, per un giro di affari di milioni e milioni di euro. Per non parlare poi dell’abbigliamento, delle fabbriche che costruiscono le armi, e di tutto ciò che ruota intorno a queste quattro anime anziane che, ormai tutto l’anno per un motivo o per l’altro, vanno in giro a mietere vittime, alla faccia dei divieti.

A parole, siamo tutti in grado si smontare il significato anacronistico della caccia ai giorni nostri.

Ad esempio, tornando alla premiazione per il terzo daino più grosso d’Italia, viene spontanea fare una considerazione:

se la tanto difesa caccia di “selezione” prevede che vengano abbattuti i capi più deboli, quelli ammalati che non potrebbero garantire la continuazione della specie (che per inciso potrebbero essere preda di volpi e lupi contribuendo veramente alla selezione, ma quella naturale) perché allora il valoroso cacciatore viene premiato perché ha ucciso un daino che senz’altro sarebbe stato un valido esemplare in grado, con la sua maestosa stazza, di superare le avversità e di generare animali forti come lui? Bè, questa sarebbe la vera legge della natura, mentre per i cacciatori non è così. Siamo di fronte alla dimostrazione semplicissima di come questi individui se ne infischino altamente dell’ambiente, di salvaguardare le specie e di inquinare i terreni con il piombo dei loro fucili.

Come LAV siamo stati più volte in Provincia dall’Assessore Rava a proporre soluzioni alternative all’”invasione” dei cinghiali. Se la Provincia non permettesse l’allevamento dei cinghiali (che ormai non sono più animali autoctoni ma addirittura incrociati con grossi esemplari importati dall’est) e la loro ulteriore immissione in natura, se provassimo a sterilizzare sia i cinghiali che le volpi – con studi ormai sperimentati positivamente – il loro numero si limiterebbe drasticamente.

Lega Anti Vivisezione – Alessandria


29 aprile 2012