Ecco una efficace prova di quello che ho sempre creduto: vale a dire che mangiare bene non è solo una questione di cibo, di tecnica e di materia prima (che restano comunque componenti necessarie e  fondamentali), ma di stile, ospitalità, professionalità, cultura, calda atmosfera per intime emozioni e preziose conversazioni.

Ho voluto iniziare con una sorta di “riassunto tematico” a mo’ di “preghiera di colletta” letteraria (invocazione che ha la funzione, nella liturgia, di indicare il tema dominante della celebrazione), per mettere subito le carte in tavola e cercare di dare il senso di queste mie osservazioni di ambiente enogastronomico. Iniziamo col dire che Salice Terme è nota località termale – che prossimamente riacquisterà tutto il suo splendore terapeutico e turistico con la riapertura dello stabilimento termale – posta a pochi chilometri da Voghera, alla confluenza di ben quattro regioni (Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia), da sempre punto di riferimento per il tempo libero, il divertimento e l’enogastronomia. Immersa nel verde, col suo stupendo parco (dove un tempo si svolgeva un importante Concorso ippico), e le mille luci delle sue varie attività di svago e ristorazione, è sempre una piacevole meta per rilassarsi e per assaporare qualche buon piatto della nobile tradizione oltrepadana. Il torrente Staffora, poi, contribuisce a mantenere un gradevole microclima secco e temperato con una moderata ventilazione. In questo semplice ed elegante borgo (che risale all’epoca romana, e che ora si proietta nel futuro) – dove si mescolano moderni quartieri residenziali in collina e agglomerato urbano con tipici edifici in pietra e locali alla moda – si trova incastonato (come pietra preziosa) il Ristorante “Guado”, che dal 1911 unisce ottima cucina e sapiente accoglienza per la sua affezionata clientela di qualità, oggi guidato con sagacia dal patron fiorentino Fabio Dei con la sua brigata dal 2002.  Dirò con franchezza che mangiare da “Guado” – nelle belle sale interne (dal sapore vagamente aristocratico ma con un piglio giovane e dinamico), oppure – nella bella stagione – nell’esclusiva terrazza-giardinetto all’aperto, è un’esperienza unica e incantevole perché ci si sente protagonisti della scena (non cullati nella nostra vanità, ma rispettati e valorizzati nella nostra inquieta umanità). Io mi ritrovo – quando sono seduto al tavolo – nel clima di bellezza ed eleganza che si respira nella pregevole serie di quadri appesi alle pareti, che costituiscono una quadreria di grande gusto e valore artistico. Come raccontava Chiara Parente nel suo libro “Il cuoco dei sensi” (Castelnuovo Scrivia, 2010), “succubi di una società dai ritmi frenetici, spesso dimentichiamo quant’è piacevole ascoltare e conversare con familiari, amici e colleghi attorno ad una invitante mensa… Da secoli i momenti conviviali della vita quotidiana si condensano nel rito del pasto”.  Il servizio, poi, impeccabile, con la costante presenza – molto discreta ma nello stesso tempo intuitiva, pronta, simpatetica – di Fabio, rende il tutto davvero confortevole per ricaricare le nostre provate “batterie” spirituali.

Il menù proposto dal locale – che segue saggiamente la superiore direttiva di stagionalità e territorio – è chiaro ed essenziale (pur con una certa varietà di temi), e vuole offrire il meglio della tradizione di questo tipico e (felicemente) contaminato territorio. Troviamo così gli agnolotti, i malfatti di ricotta e spinaci al burro e salvia, gnocchetti di patate  con salsa di peperoni gialli e mozzarella di bufala, o bigoli con pomodori secchi e zucchine, oppure – tra gli antipasti – superbi salumi, crostatine di verdure o carpaccio di carne cruda alla piemontese, per passare poi alla costoletta di vitello alla milanese, al filetto di manzo con funghi porcini, o al filetto di coniglio alla ligure, con olive taggiasche e pinoli, per chiudere con un dolce al cucchiaio di rara maestria e con  qualche esibizione di pasticceria secca, degna della migliore tradizione della pasticceria italiana. Una nota personale: quando mi è capitato, ad esempio, di gustare un primo piatto (agnolotti o malfatti), ho molto apprezzato la forma del piatto fondo in cui vengono serviti. Si tratta di un piatto di ceramica bianca molto alto che, al di là della praticità di proteggere meglio il prodotto e conservarlo più caldo, svolge una funzione di “cornice” del cibo (che mi richiama quelle sontuose cornici che custodiscono preziosi dipinti di piccolo formato, per valorizzarli al meglio). Tuttavia, il segreto del ristorante è quello di saper proporre piatti all’apparenza semplici o conosciuti, ma preparati non soltanto con grande attenzione e scrupolosa tecnica, ma rivisitati con magico equilibrio tra innovazione e tradizione.  Per quanto riguarda la carta dei vini, molto ricco il catalogo delle proposte, perfettamente all’altezza dei piatti che devono fedelmente accompagnare e valorizzare. Io trovo particolarmente indovinati alcuni vini dell’oltrepo – come il generoso e nobile bonarda di superiore qualità – che esprimono il meglio della locale tradizione vitivinicola. Siamo giunti così al termine di questo breve viaggio nel mondo della cucina oltrepadana, soffermandoci sulla raffinata tovaglia di uno dei più noti ed apprezzati ristoranti della zona. Una volta si diceva: a tavola non si invecchia! E’ vero. In buona compagnia e davanti ad un buon piatto ci si ricarica e si assapora la saggezza di vivere al presente. Non mi resta che augurare: buon appetito. Anzi… buona vita!