È stato pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Nursing uno studio multicentrico che analizza il livello di self-care nei pazienti italiani affetti da cardiopatia ischemica, mettendo in luce i principali determinanti socio-demografici e clinici che influenzano l’aderenza ai comportamenti di autogestione.
Il termine self-care indica l’insieme delle azioni che le persone mettono in atto per gestire in modo attivo la propria salute, come assumere correttamente i farmaci, riconoscere i sintomi, monitorare i parametri clinici e adottare uno stile di vita sano. In ambito cardiologico, il self-care è particolarmente rilevante dopo un evento acuto per ridurre il rischio di recidive e migliorare gli esiti a lungo termine.
Lo studio, promosso dal Dipartimento Attività Integrate Ricerca e Innovazione (DAIRI) dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Alessandria, diretto da Antonio Maconi, è stato coordinato da Tatiana Bolgeo, Dirigente dell’Unità Ricerca Professioni Sanitarie, e ha coinvolto oltre 450 pazienti reclutati in 4 province italiane: Alessandria, Milano, Novara e Roma.
I risultati indicano che la maggior parte dei partecipanti mostra livelli insufficienti nelle tre dimensioni principali del self-care: mantenimento (58,3/100), monitoraggio (48,5/100) e gestione (65,3/100). Solo l’autoefficacia percepita, cioè la fiducia nelle proprie capacità di autogestione, ha raggiunto valori soddisfacenti (77,2/100). I comportamenti meno seguiti riguardano la riduzione dello stress, il monitoraggio del peso e l’assunzione autonoma di farmaci in presenza di sintomi.
Attraverso modelli statistici avanzati, lo studio ha dimostrato che l’età avanzata, il numero di comorbidità e la presenza di più stent sono associati a una maggiore attenzione all’autogestione. Inaspettatamente, la presenza di un caregiver è risultata correlata a una minore attivazione del paziente in tutte le dimensioni del self-care, effetto in parte mediato da una riduzione dell’autoefficacia percepita.
«Questo studio rappresenta un punto di partenza fondamentale per progettare interventi educativi personalizzati nei pazienti con coronaropatia ischemica. – spiega la dott.ssa Tatiana Bolgeo – Le nostre evidenze suggeriscono che rafforzare l’autoefficacia del paziente, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, può migliorare significativamente l’adesione ai comportamenti di cura».
La pubblicazione scientifica deriva dallo studio nazionale HEARTS-IN-DYADS, che mira a comprendere le dinamiche di cura condivisa tra pazienti e caregiver nelle malattie cardiovascolari. I risultati offrono indicazioni concrete per medici, infermieri e policy maker nella pianificazione di percorsi educativi e di presa in carico più efficaci.
È possibile sostenere le attività di ricerca condotte dal DAIRI attraverso Solidal per la Ricerca con una donazione su www.fondazionesolidal.it/donazioni/.