L’ultimo lavoro di Luciana de Palma è un’odissea moderna che ci parla di vita e cambiamento

Mare, infinito e cambiamento. Basterebbero, forse, queste tre parole, per cogliere l’essenza del romanzo “Il mulino blu” di Luciana de Palma, edito da Florestano (Bari, 2019). Mare, perché “Il mulino blu” è un tuffo nel blu tra paesaggi autentici, intensi, vivi dell’isola greca di Kos: “C’è un posto qui sulla nostra isola, dove il mare non si nasconde, non s’imbelletta, non diventa sogno, non si tramuta in illusione, non conosce il romanticismo, non fa da paravento tra la realtà e la fantasia”.

Infinito, perché in perfetta sintonia con il moto perpetuo delle onde i protagonisti della storia riportano: “Eravamo stati rapiti dall’incanto della sublimità: ci sentivamo infiniti” e ancora: “Quando nacque Alekos non avemmo alcun timore nel pensare di affidarlo alla stessa immensità che ci aveva resi ebbri di vita”.

Cambiamento, già, cambiamento, perché la vita lo è. Ed è qui che si snoda tutta la vicenda dalle premesse straordinariamente perfette.

Un cambiamento che lentamente richiama una struttura, quella di un vecchio mulino, luogo di ricordi, luogo di crescita, luogo di rilfessione, luogo che si renderà blu e infinito come il mare, come i protagonisti stessi.

Le vite di Iris, Costa, Jürgen e Alekos si affacciano al moto costante della vita e ne diventano parte più o meno consapevole.

In questo andirivieni della vita, il romanzo, dopo poche pagine, affronta il tema della morte: un incidente in barca che lascia una moglie senza un marito e un figlio senza un padre.

Un lutto difficile da affrontare, una serenità che viene interrotta, un colpo duro del destino che trancia definitivamente l’equilibrio attorno a cui le vite dei protagonisti ruotavano.

E come pianeti in cerca di un altro sole le reazioni saranno diverse, tra accettazione, resistenza, adattamento e leggerezza.

Così, a Kos, si ristabilisce una lenta armonia fatta di attese, di aspettative di risarcimento e di adagiamento.

Stella principale della narrazione è Iris: donna forte, ostinata e tremendamente vera nei suoi atteggiamenti, tratti e sentimenti. Una donna piegata dalla vita, ma capace di rialzarsi e camminare ancora, di andare avanti, di accettare il dolore nell’attesa di un risarcimento da parte della vita/mare.

Irisi è una donna a cui il lettore si affeziona, e alla fine, quando le pagine del romanzo prenderanno una piega quasi pirandelliana, il lettore sarà con lei totalmente.

Accanto a lei due uomini completamente diversi tra loro: l’uno chiuso in una realtà che vorrebbe immutata e immutabile, l’altro aperto e alla ricerca di  nuove emozioni e variabili.

E poi, ecco spuntare nella narrazione quel mulino, ora blu, che racchiude in sé immutabilità e cambiamento.

Così, il lettore si immerge in pagine di vita, di riflessione e lentamente si interroga sul senso dell’esistenza, sulla propria capacità di stare nel mondo, sul valore della propria vita e sulla propria duttilità ai cambiamenti: “A volte penso che la vita sia una successione di fughe, di terra in terra, di mare in mare, di speranza in speranza (…) ed eccolo lì il mare, sotto di noi. (…)Questo bambino cambierà tutto nella mia vita. Di nuovo tutto”.

Luciana de Palma con “Il mulino blu” ha il grande dono di farci amare la nostra esistenza, anche quando ci fa soffrire, anche quando ci toglie l’aria e ci costringe a cambiare.

Tutto ciò Luciana lo fa con un linguaggio che è poesia ed è la poesia stessa ad elevarci al di sopra di tutto e a permetterci di coglierci come piccoli astri infiniti…

Mare, infinito e cambiamento.

“Il mulino blu”, in ultima analisi è un’odissea moderna con una Penelope di nome Iris che cerca la trama della propria vita e un Ulisse che mai farà ritorno alla propria Kos.

Francesca Patton