È purtroppo venuto a mancare questa notte lo storico dell’arte, docente, saggista nonché politico con cittadinanza francese (e padre italiano) Philippe Daverio. Nato il 17 ottobre 1949 a Mulhouse, vicino al confine con la Svizzera e con la Germania, si è spento il 2 settembre vinto da un brutto male uno degli ultimi divulgatori d’arte in televisione e non soltanto: l’ex assessore alla Cultura del Comune di Milano, coautore e scrittore di libri sempre molto interessanti, aveva 70 anni.

Daverio che, per un decennio condusse Passepartout su Rai3, seppe conquistare l’affetto della gente e mai lo si vide scomporsi di fronte alle maligne critiche di coloro che non gli perdonavano di non essere un “tout court académique”. Anzi, lui – con quel ben noto e raggiante sorriso, con quella sua caratteristica e disinvolta ironia – aggiungeva addirittura di non essere neppure laureato.


Mai scontato né banale, raccontava con naturalezza e sensibilità qualsiasi capolavoro in cui imbattutosi o scovato. Di certo d’una eccentricità calcolata benché non greve, arguto e di verve con la dipartita di tale conversatore divertente e colto, in Italia e nel mondo, si è spenta la luce di un’eccellente e brillante incarnazione del paradosso. E appunto questo è quanto mi piace di Philippe, il suo straordinario e sorprendente (senza entrare nel merito o negli arbitrari giudizi di valore circa le scelte intraprese nel tempo) mostrarsi privo di censura e schierarsi in maniera inequivocabile a fissare negli occhi dell’osservatore/ascoltatore la libertà del proprio coraggioso pensiero.

Quattro le gallerie d’arte moderna da lui inaugurate, di cui due a New York. Sui giornali come editorialista e come intervistato, fu opinionista per numerose riviste. Generoso ed elegante, regalava dettagliato sapere con intelligenza e raffinato ed attento spirito critico. Condivideva il personale sentire con umanità, anche e soprattutto con le persone comuni, alle quali immancabilmente non poteva non trasmettere l’immenso e profondo amore per ogni sfumatura del bello e forse, spesso, per la maggiore del bizzarro – sia che si trattasse dei più sperduti dipinti, sia delle chiese montane o dei tanti musei a cielo aperto troppo sovente sottovalutati ed ignorati in ispècie da quegli stessi nasi che si arricciavano duri nel rimproverargli di non avere un canonico titolo accademico.

Ahimè il non poter fisicamente presenziare ad alcuni eventi, ai quali eppure fui premiata quale riconosciuta ed apprezzata protagonista (e ciò a causa di quelli che rimangono stretti impegni, già presi anzitempo!…) ha fatto sì che non sia riuscita a stringergli la mano in diverse circostanze, non sia riuscita ad ascoltare con le mie orecchie il tono della sua voce e ad osservare i più piccoli gesti a rivelare invece molto di più dell’uomo che tutte le parole possibili ed immaginabili.

Soltanto per ricordarne uno, di codesti eventi, partecipai alla 1° Edizione del Premio Internazionale ARTE PALERMO – Capitale della Cultura nel 2018 con le mie fotografie d’arte “Concentricità” e “Vanitas”. Nell’occasione, al Teatro Biondo, con Paolo Levi ed Edoardo Sylos Labini c’era Philippe Daverio che tenne – prima della proclamazione dei vincitori – una lectio magistralis. Ecco allora che desidero in questo grigio giorno ricordarlo ed omaggiarlo nientemeno che con la condivisione del perché scelsi di presentare le sopracitate opere.

Il motivo è che, e la prematura scomparsa di Daverio ne è testimone, allorché si nasce si inizia ad essere dominati dalla caducità della vita. Il vivere, ancor più il sopravvivere, è ammonimento dell’effimera condizione dell’esistenza …se non piango quasi mai è dunque soltanto in quanto nelle lacrime sento tutto il peso dell’incontrovertibile consumarsi dei dì (che scongiuro nella Passione per l’Arte, con ostinazione), frutti ammaccati, fiori appassiti dei beni terreni e della vanità dell’affannarsi a conseguirli in corse concentriche. Uno ed in perpetuo con medesimo finale approdo è, prima o poi, il battito di ciglia del fragile e limitato essere umano. Creature noi che, a mio avviso, parecchio conservano e hanno degli oggetti-soggetti in still life. Femmine e maschi che – in ragione dell’ora ammesso – se io immortalo, preferisco, di sorpresa. Senza che i ritratti se ne accorgano cosicché non perdano quella spontaneità dell’autentico, del naturale e del, non filtrato, vero infante.

Giulia Quaranta Provenzano