Cos’è la depressione sociale, come curarla e quali i tristi effetti della pandemia?

Le cause della depressione sociale sono molteplici ma ad oggi principalmente dovute all’isolamento forzato, alla perdita del lavoro e alle difficoltà economiche. Condizioni, queste, che – se percepite come insormontabili ed insostenibili – possono portare anche a gesti irreparabili. A seguire i dati della Giornata mondiale per la prevenzione al suicidio, celebrata in data 10 settembre: da marzo ad appunto settembre 2020 in Italia se ne sono verificati 71, mentre ammontano a 46 i tentativi di togliersi la vita. Lo scorso anno erano invece rispettivamente 44 e 42.    


A pesare in maniera rilevante è altresì il ritorno ad una precedente quotidianità “normale”, di routine, sia dal punto di vista lavorativo che di gestione famigliare. Gli stati d’ansia e di scoramento sono tuttavia legati soltanto in parte al Coronavirus; e secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in 13 anni, ossia dal 2007, i disturbi depressivi sono giunti a costituire la terza causa di disabilità in tutto il mondo.

Più nello specifico, ogni anno 800 mila persone arrivano ad ammazzarsi per forme di depressione. Nel nostro Paese sono 4.000 le vittime di tali disturbi. Paragonando i dati a quelli di 20 anni fa il trend sembrerebbe in diminuzione, ma in realtà dal 2007 al 2013 si è assistito ad un ennesimo aumento tant’è che le statistiche Istat (ultimo dato disponibile al 2016) hanno mostrato come 6 persone ogni 100 mila abitanti siano arrivate al gesto estremo.

A detta degli esperti ad influire su ciò sono soprattutto fattori esterni e sociali, adesso dopo il periodo di lockdown dovuto alla pandemia, simili a quelli della crisi economica del 2008. I suicidi ovvero possono avere una base patologica, vale a dire una patologia di fondo quantunque altresì cause da rintracciare nella depressione sociale – come, ad esempio, la già nota emarginazione, l’inoccupazione, i problemi pecuniari.

L’impressione è che le complicazioni non siano terminate con la fase di emergenza sanitaria da virus, piuttosto che anzi il difficile giunga ora: sindrome della capanna, riprendere il lavoro in società e non più in smart working, e inoltre stare a contatto con la gente. Per qualcuno poi, purtroppo, il lavoro non c’è più poiché non pochi negozi ed attività hanno chiuso. Un’attualità quindi di incertezza economica e lavorativa, di impossibilità di programmare persino il futuro più imminente, di cambiamenti rapidi e continui sino a livelli di stress intollerabili per qualcuno …generando ansia, depressione, morte.  

Infine – è stato osservato che – se la depressione è donna, il suicidio uomo. I numeri lo confermano e difatti, secondo gli studi Istat di 4 anni fa, a togliersi la vita sono più spesso i maschi (incapaci di ammettere di non sentirsi bene con se stessi, in quanto ritenuto disdicevole crollare), con un rapporto di circa 4 a 1 rispetto alle femmine. Ciò in ispècie in Paesi industrializzati. Tra gli under 24 il tasso di suicidio è 1,3 ogni centomila abitanti, dato che cresce a 10 per gli over 65 e per la maggiore nel Nord Est.

Secondo gli esperti, questo in ragione di un maggiore individualismo rispetto alla protezione derivante dalla rete famigliare e sociale del Sud. Quanto al fatto che sono portati al suicidio specialmente gli anziani molto perché pesano, la citata ad iosa, solitudine, la non accettazione di malattie croniche, la dipendenza e gli ostacoli nella comunicazione. 

Il primo passo da compiere per coloro che avvertono un senso di frustrazione è e rimane quello di manifestare il proprio disagio a chi circonda, famigliare o amico che sia, e al proprio medico di famiglia cosicché possa magari indirizzare ad uno specialista per una valutazione psichiatrica quale valido aiuto, insieme al calore umano.

Giulia Quaranta Provenzano