La promessa dell’alba è un film di Eric Barbier, tratto dal capolavoro letterario – autobiografico – di Romain Gary.

Di tale pellicola si legge <<Dalla difficile infanzia in Polonia all’adolescenza a Nizza, per poi fare carriera come aviatore in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale… Romain Gary ha vissuto una vita piena e straordinaria. Ma questo impulso a condurre mille esistenze e a realizzarsi quale celebre (quanto tormentato) scrittore è opera di Nina, sua madre. (…)>>.


Sarà proprio il folle amore materno della donna, possessiva ed eccentrica, che porterà infatti il figlio a diventare uno dei più importanti romanzieri del XX° Secolo. Una biografia caratterizzata da rocamboleschi colpi di scena, passioni e misteri, è appunto quella di Romain Gary. E segnata da un legame con colei che l’ha dato alla luce, senza freni, pesante ed impegnativo fardello per tutti i suoi 66 anni.   

L’irascibile e tenace Nina Kawec, interpretata da Charlotte Lucy Gainsbourg, sogna cioè per l’erede un futuro da ambasciatore e ricco scrittore. Febbrilmente convinta che il suo Romain, il quale in La promesse de l’aube è l’attore Pierre Niney, sia destinato ad imprese gloriose e fuori dal comune, lo educa quindi affinché ogni sua azione sia votata a codesta progettualità da trasporre presto in realtà concreta nonché da lei pretesa. È così che Gary, dopo essersi trasferito con la madre nel sud della Francia, parte pressoché subito per Parigi e poi per la guerra da cui tornerà con onore e fama – realizzando i desii della genetrice che, morta anzitempo prima di vederlo celebre, sola ha davvero posseduto la sua mente e il suo animo.

Nina, capace di messe in scena impressionanti, a spingere Romain ad una certa spudoratezza e al contempo eleganza che l’hanno reso raffinato (sebbene non infallibile) con la penna e forse perciò ancor più, quasi, elitario. Non mancano comunque per il francese di origine Litvak eccezionali avventure a farne peculiare e quotidiana cifra sofferta e tuttavia, maggiormente, riconoscibile.

Non è, infine, un caso che quando Gary dismette le maschere dietro cui si sente costretto, quando si scopre persona e non personaggio, quando ovvero si mostra se stesso – seppure e probabilmente poiché “protetto” sotto pseudonimi, che utilizza per firmare i propri libri più riusciti – emerga laddove l’arte e il successo storico rimangono non di meno sempre l’impresa alla quale non ha mai smesso di sentirsi legato per compiacere la madre. Kawec che è figura chiave dell’intera storia giacché, come spiegato dal romanziere ebreo lituano e come suggerito altresì al termine di La promessa dell’alba, <<Non è bene essere tanto amati, così giovani, così presto. Sorgono delle cattive abitudini. Si crede che un amore simile esista anche altrove e che si possa ritrovare. Ci si fa affidamento. Si guarda, si spera, si attende. Con l’amore materno la vita ci fa all’alba una promessa che non manterrà mai. In seguito si è costretti a mangiare gli avanzi fino alla fine. (…) Abbiamo intrapreso, alla prima luce dell’alba, uno studio approfondito dell’amore e ci siamo documentati troppo bene. Dovunque andremo, porteremo con noi il veleno dei confronti; e passiamo il tempo aspettando ciò che abbiamo già avuto>>.

Ecco allora che termino con una domanda: cos’è e/o chi è che spinge l’essere umano ad attualizzarsi in un modo piuttosto che in un altro? E, chissà, se il desiderio di rivincita non derivi (come per Romain Gary) dall’essere stati oggetto delle risate di scherno a credere impossibile il nostro successo. Ché la derisione e la sfiducia hanno portato non pochi ad annullare alcuni impulsi per ottenere riscatto, una rivincita in virtù dei sacrifici compiuti dalla prima persona e dagli affetti, o persino per rendere felici ed orgogliosi determinati cari a condizionare aspirazioni personali e scelte presenti ed avvenire.

Giulia Quaranta Provenzano