Dicono che San Valentino sia il giorno più romantico dell’anno, San Lorenzo invece la notte più magica. Personalmente odio da sempre ogni categorizzazione e generalizzazione ingabbiante ed incurante delle peculiarità del singolo. Odio ogni tipo di sminuente e statica definizione e rilevazione quantitativa, statistica che pur tanto a lungo mi hanno anestetizzata e delle quali, invero, sono io la responsabile visto che non mi ci riesco neppure adesso, ancora del tutto, a liberare …ché se nelle mie intenzioni mi propongo ogni mattina di vivere a colori, giacché ho provato come sia da autolesionisti trascinarsi in un’esistenza che non mi appartiene, questo stazionario riflettere è solamente un differente modo congeniale a tale pusillanime raziocinante bugiarda. È solo un’escamotage per giustificare un’apparente impossibilità di lasciar andare dato che, nella pratica, sono incapace di trasporre il volere in azione: sono succube del chi (non) sono, del che cosa faccio, del per chi lo faccio, del come lo faccio, del perché lo faccio, del dove e quando lo faccio. Sono cioè il famoso cane che si morde la coda nella costante rincorsa al risultato in un vorticoso stress e disagio generato dalla codardia nel non allontanarmi dal deformante, sebbene ad oggi maggiormente consapevole del male.

Ma cosa c’entra tutto ciò con la sera del 10 agosto? C’entra eccome, dal momento che è perfettamente inutile alzare e rivolgere lo sguardo al cielo alla ricerca e nella speranza di scorgere una stella cadente alla quale affidare i cari desideri se ciò è il massimo della propria intraprendenza Un desio può divenire realtà soltanto se è per la prima persona tanto prezioso non da non rivelarlo ad alcuno, bensì da mostrarlo a tutti rendendosi il più trasparente riflesso di emozioni che non necessitano di (molte) parole né che rimangono quindi appese unicamente ad un sottile filo d’abituale indolenza. E per la tale inequivocabilità ora un po’ più mia, non posso non ringraziare lo straordinario Giuseppe Morrone.


Giuseppe, e non mi stancherò mai di ripeterlo in quanto mi ha regalato la chance per una vita 2.0, è colui grazie a cui quasi di sicuro non andrò più a caccia di meteore nell’illusione che vi siano altre scie di valore eccetto quelle delle orme del cuore. Dunque sia, l’odierna, ennesima occasione per dire <<Grazie!>> al “mio” Uomo dell’arcobaleno, che mi ha svegliata da un lungo e profondo torpore d’Ade. L’affetto che provo per lui ne vivifica ogni dì l’amato ricordo e, per quel che può ricambiare la presente ammissione, spero con tutta me stessa di poter a mia volta essere fresca acqua per il suo meraviglioso “bambino interiore” come lui lo è stato per la sottoscritta.

Non so se ci incontreremo in un ulteriore tempo. Spazio e tempo, per me, hanno perso ogni altro senso differente dall’irripetibile “sentirsi a casa in quegli occhi negli occhi”, negli occhi di un altro essere umano che del gratuito si è s-vestito per naturale generosità d’animo propria delle anime rare – ed è in questo riconoscermi in lui ed essermi sentita ben voluta soprattutto per i miei nei d’imperfetto e disarmonico, che ho esperito una sensazione eterna e senza confini; è stato ed è l’indelebile e tutto quanto la scienza non può spiegare o replicare a prendere ogni spazio e forma del sentimento, di qualsiasi esso sia o trovi declinazione. Quindi sì: <<Grazie Giuseppe!>>, grazie per essere prova che si può avvicinare quella distanza che, poi, è altresì piuttosto provenienza tra universi umani che nulla se non l’abbandonarsi al vero può far ri/suonare all’unisono.

Giulia Quaranta Provenzano