Scrittore molto prolifico Marcello Ghiglione: sul suo ultimo libro che ritrae la figura di Giovanni Rebuffo calciatore che ha militato in diverse squadre fra cui anche il Derthona che, pure, ha allenato per un breve periodo.

Di seguito l’intervista del nostro collaboratore Maurizio Priano.


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Giovanni Battista Rebuffo: talentuoso calciatore prima, nella fase pionieristica del calcio, e in seguito apprezzato allenatore in tutte le categorie, sino ad arrivare in Serie A con il Venezia, portando in Laguna l’unico trofeo di un certo prestigio della lunga storia neroverde, come la Coppa Italia del 1941 è il protagonista dell’ultimo libro scritto dal pozzolese Marcello Ghiglione.

Il libro su Giovanni Battista Rebuffo sono in realtà due: nel primo libro si racconta la sua vita da calciatore e quella di allenatore fino al campionato 1939/1940 quando ha inizio la seconda guerra mondiale; il secondo libro  parla delle sue imprese alla guida del Venezia che conquistò una Coppa Italia e lottò contro il Grande Torino pe la conquista dello scudetto. Erano gli anni di una guerra che avrebbe dovuto essere una guerra lampo e che, invece, dopo un periodo di successi della coalizione italo-tedesca, vedeva il progressivo affermarsi di americani e inglesi. Il Venezia conobbe proprio allora il periodo più luminoso della sua storia.

Poniamo alcune domande a Marcello Ghiglione.

Lei come è venuto a conoscenza della figura di Giovanni Rebuffo?

Sono venuto a conoscenza dell’esistenza di Giovanni Rebuffo diversi anni fa grazie a Carlo Fossati, il mitico Carluccio della Pozzolese, che in gioventù lo conobbe. Ho deciso di approfondirne la storia, quella di un ottimo calciatore e di un altrettanto brillante allenatore.

Come appassionato di storia del calcio, credo che quella di Giovanni Rebuffo fosse assolutamente una figura da raccontare e riportare alla luce. Mi sono appassionato alla sua carriera sportiva e attraverso le 700 pagine (due libri da 350 pagine) ho ripercorso ogni partita che lo ha visto protagonista sul terreno di gioco e dalla panchina come allenatore.

E’ stato difficile riportare alla luce la vicenda di Giovanni Rebuffo?

Ci sono voluti anni di ricerche attraverso giornali e libri e penso proprio di poter dire che ne è valsa la pena.

Era ancora militare quando nel 1919 ha giocato nella neonata Triestina, poi militando nella Novese e quindi successivamente in Genoa, Pro Patria, Ravenna, Arezzo. In queste ultime due incominciò a ricoprire il doppio ruolo di allenatore e giocatore.

Poi ha allenato in giro per l’Italia, a Piombino, Isola d’Elba, Valdagno, Tortona, Foggia, Bolzano, Lecce, Teramo, quindi al Venezia in Serie A con cui vinse la Coppa Italia nel 1941, poi Liguria, Torino nella fase finale del 1944, Sampdoria nel 1947 e ancora Derthona.

Lei afferma che la vicenda di questo giocatore ed allenatore era assolutamente da riportare alla luce. I motivi?

In vita Giovanni Rebuffo fu molto stimato e rispettato dai suoi concittadini. Scomparso ormai da più di mezzo secolo, mi è sembrato giusto e doveroso riportare alla luce la vita di uno dei novesi più illustri in ambito sportivo.

Come si presentava il Rebuffo giocatore ed il Rebuffo uomo?

Giovanni Rebuffo era un giocatore molto talentuoso, ruolo ala destra e mezzala destra, tanto da meritarsi un posto da titolare nel fortissimo Genoa nel 1922 allenato da William Garbutt. In quel campionato i rossoblu si arresero soltanto in finale con la Pro Vercelli, l’altra corazzata dell’epoca.

Purtroppo il principale difetto di Giovanni Rebuffo consisteva nella discontinuità, e questo gli causò continui periodi di alti e bassi per tutta la carriera, benché si potesse sicuramente annoverare fra le più forti ali destre di quegli anni.

 Mi ha colpito la tenacia nel dedicare la sua vita allo sport, a cominciare dagli studi, con il conseguimento del diploma in Educazione fisica, da cui l’appellativo di “Professore”.

Rebuffo allenatore: un sergente di ferro alla Bersellini oppure amava rapportarsi con i giovani?

Innanzitutto vorrei ricordare, non lo si è mai fatto abbastanza, che fu proprio l’intuizione  di Giovanni Rebuffo di arretrare di qualche metro la posizione di Valentino Mazzola, da centravanti a mezzala sinistra, che consacrò il calciatore di Cassano d’Adda, già tecnicamente eccelso, come uno dei migliori della sua epoca e della storia del calcio.

Rebuffo non era un sergente di ferro, aveva una spiccata simpatia ed entrava subito in empatia con tutti. Puntava molto sulla preparazione fisica, grazie anche ai suoi studi, ed era particolarmente bravo nell’allevare e lanciare i giovani in prima squadra.

Nonostante la Coppa Italia e la conquista sfiorata dello scudetto con il Venezia non sembra che come allenatore abbia avuto una grande carriera.

Nel 1945 fu ingaggiato dall’ambizioso Como, ma le cose, nonostante un ottimo organico non andarono bene, molto al di sotto delle aspettative. Nel 1946 ebbe l’opportunità di guidare l’Alessandria appena tornata nella massima serie dopo qualche anno di purgatorio in Serie B, però non gli fu dato abbastanza tempo, venendo esonerato dopo la prima partita di campionato, e accusato di non aver preparato adeguatamente la squadra grigia sotto l’aspetto fisico. Nell’aprile del 1947 fu poi chiamato dalla Sampdoria per portare a termine tranquillamente il campionato, cosa che fece senza problemi.

Forse era ormai stanco si allenare e, dopo una stagione al Derthona, intraprese un nuovo ruolo di osservatore per diverse squadre, soprattutto di Torino e Venezia. Scoprì molti calciatori come, ad esempio, Mario Capelli, se non erro l’ultimo novese a calcare i campi della Seria A, che mandò in Laguna, e Carlo Tagnin che vestì le maglie di Alessandria Torino e Internazionale.

Secondo lei la figura di Giovanni Rebuffo è sottovalutata dagli scrittori di sport?

Sino ad oggi non esisteva una biografia dedicata a Giovanni Rebuffo ma ho piacevolmente potuto constatare che nell’ambiente degli amanti della storia del calcio la sua figura occupa un ruolo di assoluto rilievo.

Un messaggio che ci ha lasciato?

Un messaggio che ci ha lasciato il Professore è senz’altro quello della totale abnegazione nel lavoro, soprattutto per quanto riguarda il delicato ruolo di allenatore. Girò per tutta l’Italia, allenando in quasi tutte le categorie pur di continuare a fare quel che amava.

Si iscrisse al primo corso allenatori della storia indetto dalla Federazione nel 1933, e cercò sempre di imparare in ogni luogo e in qualsiasi situazione, come quando andò per un anno a giocare in Argentina e apprese una diversa organizzazione calcistica. Come lui stesso ebbe a dire, in occasione di un’intervista rilasciata a Panorama di Novi, pubblicata il 25 gennaio 1966, quindici giorni dopo la sua morte: «Quando sono andato in Argentina a giocare per gli Estudiantes mi resi conto di una cosa piuttosto insolita. Attorno al grande club era una proliferazione di attività complementari, il giocatore di calcio era trattato come un dipendente, i ”ritiri” all’ordine del giorno».

Maurizio Priano