Brian May è in splendida forma. Lucido, logico, riposato, decisamente empatico. L’entrata è eccellente, lo accolgo io personalmente con un “Welcome” in buon inglese oxfordiano, che lui apprezza alla prima domanda che gli pongo, scusandosi di conoscere soltanto “ciao” in italiano. Ma la sua chitarra e l’epopea dei Queen parlano “umano”, non italiano o inglese…

Kerry Ellis al suo fianco, cantante very british, completa un quadro di seduzione del tipo più bello, fatta di calma e di magistralità negli atteggiamenti dei visi e nei gesti. Sono belli, vicini, nella cornice di questo grande albergo che è il Principe di Savoia a Milano, che annaspa per mantenere l’antica gloria, oggi ancora visibile, ma con un numero di stelle in un firmamento di vip che ne vedono ormai quasi il doppio. Brian attraversa gli spazi del grande albergo con moltissima nonchalance: è nel suo ambiente, si vede. Ma i rocker non mordevano il culo ai borghesi? Pensieri questi che non possono non passare per la testa a chi conosce la storia del rock, di come il rock è stato dirompente, di come è stato una rivoluzione del costume. Allora è vero: anche i bambini ribelli maturano, o forse invecchiano, abbandonando il ruvido della protesta, dell’epater les bourgeoises, e si acquietano nelle mollezze della vita fatta di agi e comodità. Nessun contrasto ideologico né estetico, più: il rock (e Brian May) è integrato, il rock è un genere musicale (e Brian May ne è un interprete quasi di maniera…), il rock lo ascoltano sia i conservatori che i progressisti (e anche lui, modernamente, è sia conservatore che progressista…).

Infatti, Brian May, nel venticinquesimo della morte di Freddy Mercury (icona di una musica “in una” epoca), passa oggi con padronanza e charme per quelle sale, che già allora esistevano e che volutamente le rock star violentavano. E dire che Freddy era il suo miglior amico, quasi un quarto di secolo di musica insieme… Oggi, il chitarrista dei Queen è nel pieno del tour italiano: il 25 Milano, oggi Mantova, domenica Roma, in attesa di Adam Lambert, voce, il 25 giugno a Piazzola sul Brenta in provincia di Padova.

Gli domando qual è per lui il futuro del rock, domanda mia classica che serve per scaldare i motori di una conferenza stampa che si preannuncia molto serena e colloquiale. Mi piace, Brian: lo vorrei come amico. Mi risponde che lui non sa, che lui suona, che la storia del rock mostra tanti eventi e fenomeni differenti, che oggi tutti l’ascoltano, che è un genere musicale tra gli altri e che non morirà più. Una risposta deliziosa per umiltà: praticamente era come se avesse detto “Chi sono io, per dirti che cosa potrà essere di questa musica, patrimonio di miliardi di esseri umani ormai?”, come se lui non fosse uno dei più grandi, dei più avveduti, dei più “con le mani in pasta” di un rock che ormai però merita dei consuntivi e delle previsioni. Ottiene infatti immediato riconoscimento di simpatia dall’interlocutore seguente che gli dice: “Sei un grande uomo, non solo un signor musicista!” E, per quello che si è capito, è proprio vero: Brian è educatissimo, sorride e interloquisce in un inglese di ottima pronuncia e facile da seguire. L’immagine che produce è quella di un umanista: apprezza con elogi avveduti la Cappella degli Scrovegni e, soprattutto, sottolinea con parole e modi i valori base dell’umano, che un interlocutore gli sottopone impressi su una maglietta in regalo, che lui apprezza. Onestà, lui l’afferma; rispetto, lui lo considera importante; umiltà, ne è un esempio…

E posso dire che il suo tratto umanissimo, dalla sua stretta di mano all’inizio che mi aveva stupido per il vigore originario, certamente non da musicista rock quasi settantenne, e anche per il velluto della pelle, si è confermata nella ricerca di un quasi abbraccio alla fine della conferenza.

Brian, sei eccellente! Come il vino buono stai invecchiando da dio, come il marmo porti nel futuro il suono di un’epoca. A rivederci con Zed entertainment a Piazzola sul Brenta (voce Adam Lambert, che Freddy avrebbe amato di sicuro), e domani a Roma.

Sergio Bevilacqua