cinghiale - QDomenica 25 ottobre, a Morsasco si è sfiorata la tragedia: un gruppo di   esagitati cacciatori ha inseguito con cani e fuoristrada un cinghiale per le vie del paese, ignorando leggi e regolamenti su caccia e sicurezza stradale nei centri abitati.

Questo fatto gravissimo è stato accertato dalle Forze dell’Ordine intervenute che assumeranno i dovuti provvedimenti. Purtroppo, spesso l’attività dei cacciatori nei paesi è sostenuta anche dai sindaci che sovente apprezzando la polenta con il cinghiale o capriolo secondo stagione, sostengono che l’unico sistema di contenimento possa essere il fucile.

L’Ente Nazionale Protezione Animali propone una serie di procedure da applicare   prioritariamente rispetto a qualsiasi forma di controllo selettivo, per attuare nuove politiche a 360 gradi sul territorio che prevedano, gradualmente, diverse fasi e diversi livelli di coinvolgimento (istituzioni, associazioni, agricoltori e allevatori). E’ ormai noto, infatti, che l’aver affidato agli abbattimenti e al mondo venatorio la gestione faunistica di questa come di altre specie, non solo si è dimostrato inutile ed eticamente scorretto, ma ha aggravato enormemente una situazione creata, tra l’altro, proprio dalle immissioni di questi animali a fini di caccia.

Di seguito, ecco alcune delle misure che secondo la Protezione Animali andrebbero attuate anche ai sensi dell’art.19 della legge 157/92, il quale stabilisce che – prima di procedere ad inutili abbattimenti – l’ISPRA ponga in essere metodi ecologici per la prevenzione, verificandone successivamente la loro efficacia, caso per caso: censimenti seri sulla entità della popolazione degli ungulati, vietare i ripopolamenti di cinghiale, controllo nelle sagre e nei ristoranti dove viene utilizzata carne di cinghiale spesso illegale, vietare la pasturazione e il foraggiamento dei cinghiali.

L’attività venatoria ha procurato moltissimi problemi in relazione a tante specie, tra cui i cinghiali (cacciabili durante la “normale” stagione venatoria), la cui presenza su vasta scala è dovuta proprio ai ripopolamenti effettuati ad uso e consumo dei cacciatori. E’ noto infatti che le uccisioni indiscriminate hanno causato e continuano a causare una destrutturazione dei branchi, poiché spesso ad essere uccisa è proprio la matriarca. Ciò determina la dispersione sul territorio di femmine che possono andare a creare altri branchi aumentando così il potenziale riproduttivo della specie.

Altresì, l’attività venatoria ha determinato negli anni una destrutturazione della piramide         delle classi di età, agevolando la riproduzione degli esemplari più giovani, abbattendo i capi         adulti con più di due anni di età.

Gli abbattimenti selettivi non rappresentano una soluzione efficace, né duratura nel tempo: se, dopo tanti anni di politiche di uccisioni degli animali selvatici, il problema è aperto, ciò significa che la politica finora adottata non è la soluzione del problema. E’ dall’analisi di questa politica fallimentare che occorre partire, considerando anzitutto la gestione faunistica come materia da cui il mondo faunistico deve essere necessariamente escluso anche in qualità di “selecontrollore”.

E’ ormai giunto il momento di un radicale cambio di strategia e di approccio alla materia, coinvolgendo associazioni animaliste, ambientaliste, istituzioni locali ed enti-parco. Questo, per evitare ogni possibile forma di interesse privato che si traduce in una possibilità di sparo. Ad esempio, per la “gestione faunistica, in Italia si utilizza ancora la tecnica della “braccata”, assolutamente non selettiva ma molto gradita ai cacciatori.

                                       IL CAPO NUCLEO GUARDIE ZOOFILE RAPETTI PIERO


28 ottobre 2015