Oggi, in occasione della Pasqua, desideriamo condividere con voi lettori alcune riflessioni e origine d’usanza. Il tema è ovviamente la Pasqua, Pasqua che è la più importante festa ebraica e, poi, cristiana. Ma, soffermiamoci in principio su da dove deriva per l’appunto il termine Pasqua.

Questo vocabolo, dall’ebraico Pesah, significa “passaggio” e in tale mondo [ebraico] proprio la festa della Pasqua ricorda, infatti, mediante il sacrificio dell’agnello, il passaggio dell’angelo di Dio che colpì i primogeniti degli Egiziani e consentì al popolo ebraico di fuggire dalla schiavitù dell’Egitto attraverso il Mar Rosso, e di incamminarsi verso la terra promessa – cit. <<Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro:io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d’Egitto>>.


Nell’antichità, presso i popoli del Vicino Oriente, venivano praticati alcuni riti agrari quali l’offerta delle primizie e dei primi nati del bestiame per celebrare l’arrivo della primavera e la fecondità delle messi. In tale stagione i pastori si spostavano con il proprio gregge verso nuovi pascoli e sacrificavano un agnello per ottenere dalla divinità greggi numerose e feconde. Fu la religione ebraica ad assegnare un inedito significato al sacrificio dell’agnello che, il quattordicesimo giorno del mese lunare di nisan (a marzo-aprile), iniziò a venir mangiato insieme ad erbe amare e pane azzimo per ricordare il passaggio del Signore che li liberò [liberò gli Ebrei] dalla schiavitù e dalla morte. La distruzione del Tempio di Gerusalemme rese impraticabile il sacrificio, tuttavia non abolì la festa nel suo valore commemorativo tant’è che, sino ad oggi, gli Ebrei della diaspora mangiano comunque l’agnello pasquale durante il seder, rito in cui viene riletto il racconto della liberazione dall’Egitto.

I cristiani hanno dopo attribuito il seguente significato alla Pasqua. Hanno cioè identificato l’agnello con Cristo stesso, crocifisso e risorto, celebrando pertanto la resurrezione di Gesù, il quale avrebbe liberato l’uomo dalla schiavitù del peccato e dalla paura della morte. Il pane non lievitato, mangiato dagli Ebrei insieme all’agnello, simbolicamente rappresenta nientemeno che la purezza interiore dei cristiani che devono evitare il lievito del peccato: <<Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!>>. Al centro dell’annunzio cristiano si trova non più la liberazione dalla schiavitù politica, bensì dal peccato e la resurrezione dei morti.

Il cristianesimo non si distaccò subito del tutto dall’ebraismo e dai suoi riti …fu progressivamente che la celebrazione della domenica sostituì quella del sabato e la Pasqua, celebrazione della morte e resurrezione di Gesù, ne divenne il focus. Ecco che fu così che nei primi secoli sorsero vari contrasti sulla data della Pasqua. Dopo lunghe discussioni, le comunità cristiane si accordarono per [celebrarla, la Pasqua] la prima domenica di plenilunio dopo l’equinozio di primavera, in una data compresa tra il 22 marzo e il 25 aprile. Diversamente dal Natale, la Pasqua è ovvero una festa mobile e gli Ortodossi la celebrano in un giorno differente rispetto ai cattolici dacché non hanno accettato la riforma cinquecentesca del calendario attuata da papa Gregorio XIII.   

In avvio di conclusione, una curiosità. Perché, inoltre, a Pasqua si mangiano le uova? La tradizione di decorare le uova risale ai primi cristiani, che le pitturavano di rosso, per rammentare il sangue di Cristo. Vi dipingevano sopra croci e vari simboli, come fanno perfino attualmente nei paesi ortodossi e cristiano-orientali. La simbologia dell’uovo è evidente. Dall’uovo nasce la vita che, a sua volta, veniva e viene associata con la rinascita appunto di Cristo e quindi con la Pasqua.

Certo, le uova decorate sarebbero potute andare bene anche per Natale, per la nascita di Gesù… nonostante ciò, secondo alcuni studiosi, la tradizione delle uova pasquali è dovuta al fatto che in Quaresima, i quaranta giorni precedenti la Pasqua, i credenti sono tenuti al digiuno e all’astinenza. In questo periodo è vietato mangiare carne. In passato, e tuttora nelle chiese cristiane orientali, era ed è vietato cibarsi pur di uova. Essendo però difficoltoso costringere le galline a non depositarle [le uova] in codesto lasso di tempo, già i primi cristiani se ne trovarono un surplus tale da risolvere di servirsene in qualche maniera. Non restò loro che farle bollire fino a farle diventare dure come sassi e dipingerle con colori sacri e simbolici.   

A queste tradizioni, poi, col tempo, si sono aggiunti i viaggi di tante persone che approfittano delle feste pasquali per qualche gita fuori porta che però lo scorso anno e quest’anno non possiamo fare, a causa del lockdown. La Pasqua, allora, forse è diventata nuovamente di riflessione.     

A questo punto un pensiero sorge spontaneo… Siamo capaci, e quante volte lo siamo, di esprimere ciò che abbiamo e desideriamo davvero nel profondo? Quante volte un desio rimane invece solo sulla bocca del cuore e non prende fiato, né forma, perché troppo fragili, timidi o “affaristi” per mostrare la faccia e provare a realizzare quel “passaggio” al più autentico sé?

Cercare di andare oltre i timori, le convenzioni, la superficiale convenienza – a mio avviso – non dovrebbe essere soltanto un diritto ma, piuttosto, un dovere di ciascuno affinché il rispetto di sé e degli altri non rimanga solamente un vocabolo dimenticato nel grande dizionario della vita. Quello che mi auguro ed auguro a tutti voi con l’occasione della Pasqua è, allora, di rinascere e sbocciare finalmente in verità per non perdersi invero.  

Giulia Quaranta Provenzano