Giulio, come si descriverebbe in quanto persona ma altresì come musicista e produttore? Voglia scusarmi per la domanda in un certo qual senso riduttiva dacché non vuole certo essere un invito a porre alcun limite al potenziale – ché ammesso che si riesca ad essere imparziali con se stessi, quel che si è in un determinato frangènte potrebbe, chissà, essere in parte smentito dal divenire… Sono una persona fortunata, perché faccio ciò che amo. Per il resto, preferisco siano gli altri a dire come mi vedono.

E proprio a proposito di momenti, inizi, prosegui e sviluppi, quando la Musica è entrata nella sua vita tatuandosi nella sua anima senza possibilità di ritorno? Quando cioè ha compreso che essa le aveva ormai già inciso la mente e il cuore, e quale tra i due – tra istinto e ragione – ha predominanza in Lei? La mia famiglia mi ha dato la grande opportunità di avvicinarmi alla musica da molto piccolo: avevo 5 anni quando ho iniziato a suonare il pianoforte. In effetti, non ricordo la mia vita senza di essa. Sono dell’idea che istinto e ragione servano sempre l’uno all’altro sebbene io, sia nella mia vita personale che in quella professionale, privilegi senza dubbio l’istinto dacché ciò non significa null’altro che assecondare la propria natura e il proprio destino. In verità però la ragione serve ad elevare sempre più l’istinto e, talvolta, a proteggerlo. Fare della propria passione un mestiere è sicuramente un privilegio, ma allo stesso tempo richiede un difficile equilibrio tra il proprio sentire artistico e le leggi del mercato.


Per poter fare della propria Passione una professione, quant’è importante il curriculum? Con curriculum intendo non solo ed unicamente lo studio bensì piuttosto aver già fatto pratica, avere esperienza e contatti in un certo settore …perché se ciò fosse fondamentale (come appare talvolta porgendo domanda presso i vari “uffici di collocamento”), al meno di non mettersi in proprio, coloro i quali sono vergini nella conoscenza e disposizione di un accesso in uno specifico ambito, coloro i quali sono di umili origini e non hanno alcuno ad indicare qualche via da poter provare a percorre e neppure una sorta di fiducioso “mecenate” – sembrerebbe – siano e saranno sempre destinati ad un limbo. La preparazione e lo studio sono certamente fondamentali in un percorso di inserimento lavorativo. Tuttavia qualsiasi lavoro, e credo tanto più la musica, insegna che non si smette veramente mai di imparare. Iniziare una professione significa – ad un certo punto – avere il coraggio di mettersi in gioco e di prendersi delle responsabilità, di esporsi …E quindi di accettare di fallire, di capacitarsi della necessità di ricominciare e persino di trovarsi a dover mettere in discussione ogni cosa. Proprio il coraggio di non sottrarsi a sé, anche quando le sfide sono al di fuori della propria comfort zone, è determinante. Accanto al percorso formativo, quindi, bisogna lavorare sulla propria sicurezza, imparando a conoscere le proprie attitudini e il proprio gusto, in modo da manifestarlo e da forgiare così il carattere. La sicurezza si crea attraverso il senso critico, essendo innanzitutto i più severi critici di se stessi. Ecco che, nel mondo del lavoro, l’istinto procura una visione mentre è il carattere lo strumento per realizzarla.      

Lei non ha mai fatto segreto di come sia dell’avviso che <<La disciplina è importante, ma è di vitale importanza scegliere da soli la propria strada, mantenere intatte le proprie particolarità e non farsi plasmare da nessuno (…)>>. Non per niente ha affermato che cerca sempre <<artisti che siano grezzi, che abbiano la loro visione ed i loro contenuti, le loro particolarità, anche se non allineate agli standard>> e – ha continuato spiegando che, a suo avviso – partendo da qui inizia il lavoro del produttore artistico che deve far incontrare questa unicità con le esigenze del mercato, tuttavia senza mai snaturare gli artisti. Ecco allora che a riguardo delle esigenze di mercato vorrei chiederle, secondo Lei, oggi cosa questo richiede e perché, e quanto pensa sia imprescindibile la capacità di essere camaleontici… sovente infatti conciliare la fedeltà alle proprie urgenze espressive, la propria spontanea modalità di sentire interiore ed una buona commercialità mi pare impresa titanica all’integrità del vero e più genuino io (se non altro nei mezzi, che poi determinano la forma, forma che invero per la sottoscritta è già essa stessa messaggio). Il lavoro – o le committenze di una volta – mettono dalla notte dei tempi di fronte a dei criteri non sempre e non necessariamente artistici e, allo stesso tempo, pongono dei limiti alla creatività e all’espressione. Tempo fa ero molto critico rispetto ai prodotti commerciali e una volta, parlando con un giovane artista tedesco, gli chiesi come mai nonostante il suo grande talento si impegnasse unicamente in produzioni commerciali. La sua risposta fu <<se questo mi permette di raggiungere il cuore di tante persone, perché dovrei ritenerlo sbagliato?>>. M’insegnò tanto! L’arte, in effetti, è tale se capace di risvegliare qualcosa nelle persone. Nel 2021 viviamo in un’epoca in cui il concetto di “difficoltà” o di “profondità” purtroppo sono demonizzati e demoliti all’interno di una società dell’immediatezza, dell’informazione spot, del consumo, della velocità a tutti i costi. Dunque, la risposta che posso darti è che oggi gli artisti devono avere un notevole equilibrio interiore e fare l’enorme sforzo di riuscire a inserire, all’interno del veicolo commerciale, il seme dell’arte. D’altronde il grande Picasso era solito affermare <<Si è detto sovente che un artista deve lavorare per se stesso, per l’amore dell’arte e fregarsene del successo; è falso. Un artista ha bisogno del successo. E non soltanto per vivere ma, soprattutto, per realizzare la sua opera>>. E qui, in questa frase, il “successo” non è il mero guadagno economico o la cosiddetta fama ma è l’essere giunti e diventati parte del cuore e della coscienza delle persone… 

Lei non ha mai omesso di come le è evidente che oggi viviamo un mercato ultra-consumista e ogni giorno escono centinaia di canzoni ma non può non domandasi quante, comunque, ne resteranno pur solo dopo poche settimane. Ritiene difatti che <<La questione è che senza studio non si può trovare un’identità che possa andare al di là delle mode e che resti nel tempo, anche se nel nostro Paese non viene data molta importanza all’educazione musicale. Oggi la musica può farla chiunque, non c’è più preparazione tecnica, che presuppone uno spessore culturale (…)>>. Quali le conseguenze irreparabili di questa democratizzazione della musica e non soltanto di questa? La democrazia di tentativi d’arte, tentativi perché non tutto mi sembra Arte, non ha probabilmente bandito la necessaria curiosità, riflessione e ricerca che invece hanno reso inimitabili i grandi cantautori del passato i quali mi verrebbe da chiamare poeti, con non alcuna sfumatura di voracità in nome dell’immediato e di un tempo frenetico e del “mordi e fuggi”? Questa domanda è molto difficile, perché apre e si pone su un terreno di ragionamento filosofico che non può essere liquidato in poche parole. Di per sé, il fatto che sempre più persone abbiano la possibilità di esprimersi è una cosa positiva. La questione però è che non tutto ciò che è espressione è necessariamente anche arte. Di sicuro comunque, rispetto a tempo fa, il mercato si sta riempiendo di prodotti che hanno alla base sempre meno ricerca, profondità e preparazione, e sempre più immediatezza e verità intesa nel senso contingente del “reality”. Criticare il mondo che cambia non di meno è piuttosto inutile, bisognerebbe invece impegnarsi per trovare il modo di far risuonare con nuove parole, nuove note, nuove idee, ciò che l’essere umano rischia di perdere per strada e che può ricordare solamente attraverso l’arte appunto.

A suo parere cosa non può mancare ad un cantante che possa essere chiamato a tutti gli effetti quale Artista con la A maiuscola? E come riuscire ad emergere per il proprio autentico valore in questo periodo in cui la tecnologia ed i canali di diffusione mi pare siano di gran lunga superiori a quanto richiederebbe normalmente non soltanto il mercato, ma un attento ascolto? Più vado avanti e più sono convinto che la predisposizione artistica sia innata. Qualsiasi essere umano è dotato di un sentire artistico, ma solo pochi sono disposti a lottare per difendere e manifestare questo sentire. L’artista lo si riconosce da ogni gesto appartenga alla sua vita, e non unicamente quando esercita la sua disciplina. L’artista è colui che sa vivere le cose nella loro unicità e sa e riesce ad essere continuamente innamorato e curioso rispetto ad ogni cosa o persona accompagni la sua esistenza. L’artista deve saper dare, attraverso l’arte, la parola, i gesti, il silenzio. Riuscire ad emergere non lo collego ai canali di diffusione. Ogni periodo e ogni epoca ha ed ha avuto le proprie difficoltà. Riuscire ad emergere e mantenere una posizione ha a che fare col sacrificio, con il non accontentarsi, con lo studio e l’immaginazione, con l’esercizio critico dell’intelligenza, con l’analisi e la conoscenza del mondo in cui si vive. Forse ancor più che emergere oggi il punto è restare…

Qual è l’istante in cui, se c’è un tale istante, un emergente capisce che non lo è più? Quando rischia di non avere più tempo per dedicarsi e da dedicare alla propria arte, ma soltanto a tutto ciò che di inessenziale la circonda.

Dal suo punto di vista è bene o è secondario o è persino sconsigliabile, e per quale ragione, che un cantante canti nella propria lingua madre? Che un cantante canti nella propria lingua madre è assolutamente un bene. Così come è un bene conoscere lingue diverse.

So che considera fondamentale per il di Lei percorso l’incontro con Filippo Maria Fanti, in arte Irama, il quale è anche suo amico tant’è che – cito – senza di lui non avrei mai intrapreso questo percorso pop (essendo molto vicino invece alla musica strumentale, un po’ fusion); io non scrivo testi, con lui ho trovato la mia penna ideale sia per i contenuti, sia per il modo che ha di scrivere. Cosa ammira ed apprezza maggiormente di Filippo come persona ed in quanto Artista, e cosa lo contraddistingue ai suoi occhi e al suo orecchio da tutti gli altri? Quale, per contro, le più marcate diversità tra voi come esseri umani? Filippo è quel tipo di artista di cui parlavo prima, non è pertanto possibile separare questi dalla persona. Filippo è esattamente Irama. È quello che tutti possono sentire nelle sue canzoni, nel bene e nel male. Il nostro rapporto artistico e di amicizia è rimasto saldo negli anni in quanto abbiamo una grande stima l’uno dell’altro e ciò implica che anche gli scontri che possiamo avere, diventano occasione di crescita e di maturazione artistica.

“Cosa resterà” [https://youtu.be/78vXXrrWAsr8] è il primo brano assieme ad Irama, che avete portato a Sanremo Giovani nel 2016 ma come si arriva alla decisione finale su quale canzone presentare sopra un palco parecchio attenzionato come il detto e che si spera sia in grado di dare avvio ad una visibilità in quinta marcia? “Cosa resterà” è stato il primo brano insieme ad Irama. Non avevamo un grande repertorio allora, eravamo acerbi per tanti versi, eppure fu un lavoro totalmente nostro e sincero, e questo ci diede il coraggio e la convinzione di portarlo all’attenzione del pubblico. Tutt’ora penso sia uno dei nostri brani più belli.

Continuando sul filone visibilità, qual è la sua considerazione dei talent show e dei social, e quale quella nei confronti della televisione altra e della radio attualmente? E di chi viene eletto ad influencer e si improvvisa cantante o viceversa cosa ne pensa, ossia qual è il significato e la necessità, l’eventuale pregio, di una figura come l’influencer? L’incontestabilità per cui oggi il mercato – come lei stesso ha notato – è saturo di interpreti e povero di cantautori da cosa è dovuto, solo ed esclusivamente dalla mancanza di coraggio nel raccontare se stessi nei testi o dal focus su determinate velociste e voraci dinamiche ed interessi economici ecc. ecc.? In un’intervista di qualche anno fa contestai i talent show e dopo pochi anni Irama vinse la diciassettesima edizione di “Amici”di Maria De Filippi, e questo ci portò davvero parecchio bene. Sottolineo questo passaggio perché ho maturato la mia visione proprio nel confronto con il mercato e oggi che le occasioni di visibilità sono pochissime penso che tutte siano legittime. Il punto sta sempre nel cosa si ha da dire. Se si hanno dei contenuti, qualsiasi canale è un aiuto. Se non si hanno contenuti, tutto passa assai in fretta.   

Qual è lo stato dell’arte in generale e della musica in particolare oggi in Italia e all’estero, secondo Lei? E della spettacolarizzazione del dolore e della pornografia dei sentimenti, ma pure di quelli che forse sono temi eccessivamente inflazionati nel presente magari sol per seguire il flusso della corrente e non per una reale sensibilità come, ad esempio, la violenza sulle donne o l’ambiente, la droga, la malavita cosa può dirci? Purtroppo le dette tematiche sono specchio di certe realtà che realmente esistono e che è giusto che vengano raccontate. La musica è sempre stata un modo per denunciare, anche in maniera provocatoria o codificata – si pensi, per esempio, al Blues. Il problema è quando talune situazioni diventano dei modelli e degli status che vengono assorbiti specialmente dalle nuove generazioni per colmare alcuni vuoti. Ciò non significa che i giovani siano tutti cretini ma che, come società, si sta fallendo in molti ambiti. In Italia, come nel resto del mondo.

Quali gli Artisti del passato con i quali avrebbe voluto collaborare e perché, e quali quelli ancora poco conosciuti come anche già professionisti con i quali avrebbe piacere di avviare presto un progetto comune? A fare la lista, sarebbe lunghissima… Ne voglio però citare uno ché ha da poco festeggiato i suoi settant’anni e cioè Renato Zero, il quale è stato per me maestro, nonché un cantautore ed un uomo incredibile. Nella sua musica riscontro e sento sincerità, libertà, conforto, oltre che un costante straordinario livello ed un ineccepibile gusto nelle parti musicali.

Con Irama avete poi portato al Festival di Sanremo 2019 il brano “La ragazza con il cuore di latta” [https://youtu.be/ov3pyu9hWio]. Ebbene, secondo Lei, una canzone come pure una musica, un romanzo, un dipinto, una fotografia, una scultura, un ballo, un film etc. deve trasmettere soltanto serenità e gioia di vivere al fine di infondere benessere oppure se non si fa sorgere un sorriso si tradisce il senso dell’Arte? Ed inoltre, nella sua concezione, focus ed esigenza principale dell’Arte è il sociale oppure viene calamitato soprattutto dal più schiettamente intimistico e dai bisogni personali, del singolo? Io faccio musica con grande libertà. Seguo i sentimenti e la verità. Scrivere una canzone a volte porta alla leggerezza, altre volte al dolore e alla riflessione. L’importante è suscitare un’emozione nelle persone.

Non ha fatto mistero di come Lei sia convinto che <<quando si crea a livello artistico e quest’arte scaturisce in qualcosa di bello poi arriva a tutti (…) chiunque riconosce una bellezza. E la bellezza è il modo di comunicare più universale che possa esserci, e quando è la musica ad essere bella allora si raggiunge veramente qualsiasi individuo (…)>>. Ma la bellezza come può essere universale e travalicare il gusto e le preferenze? È possibile vi sia davvero un universalmente bello, e secondo quali canoni, di cui tutti riconosco il valore seppure ognuno in base ai propri millesimi venga attratto da un aspetto piuttosto che da un altro di quanto è ed ha Beltà – mi saprebbe descrivere cos’è la Beltà, quella che Platone chiamerebbe Bello secondo il Mondo delle Idee? Esempio di bellezza universale è la musica, che unisce persone che addirittura non parlano nemmeno la stessa lingua. Ricordi la scena del film “Mission” in cui il missionario si salva dalle popolazioni indigene suonando un bellissimo tema di Morricone? O vale la pena pensare altresì al potere del ritmo, che lega ciascuno al proprio battito cardiaco… Oltre a questa beltà, universale è anche, per dirne una terza, la bellezza di ciò che “La Pietà” di Michelangelo rappresenta od ancora l’armonia della natura, ma il bello è perfino semplicemente in un gesto purché si sia predisposti ad accoglierlo. Lo stesso senso, non per niente, spesso assume forme diverse.

Ancora a proposito di universale, oggettivo e soggettivo, Lei ritiene che per ciascuna opera d’arte degna di tale appellativo esista una sola interpretazione corrispondente al vero significato da essa personificato ed incarnato? Ovvero, l’ermeneutica può essere una scienza “matematica” con un’unica interpretazione valida possibile e ciò a prescindere dal fatto che di certo in ogni persona possa far scaturire pensieri ed emozioni, e pure (soggettive) interpretazioni, differenti? Credo che accostare la matematica alla filosofia o all’arte sia un errore logico. La matematica, per definizione, è una scienza esatta. Esatta e di conseguenza non vera, un’approssimazione della realtà. L’arte e la filosofia sono di per sé vive, quindi inafferrabili. Questo non significa che siano materie vaghe, anzi il rigore richiesto per perseguirle è enorme. Ciò significa piuttosto e più che altro che la  filosofia e l’arte obbligano a cercare ogni volta e continuamente il significato. Le stesse parole cambiano il senso. Lo stesso senso, ha bisogno sempre di nuove parole per tornare a risuonare con forza. Ogni persona può di certo dare la propria interpretazione ad un’opera d’arte, tuttavia l’artista con-vince quando sa scuotere e suscitare nel pubblico il medesimo personale sentire – che avrà sicuramente declinazioni diverse, ma una radice comune. Ad esempio, se io sono stato innamorato ed anche tu lo sei stata, pur non conoscendo nulla l’uno dell’amore dell’altro, possiamo nonostante questo intenderci parlando di amore.  

Quali sono i suoi prossimi progetti a breve e a più lungo termine? <<Quando l’uomo fa progetti, gli déi ridono>> si legge nel romanzo “Per amore di una donna” dello scrittore israeliano Meir Shalev, che dà avvio al film “Amnèsia” di Gabriele Salvatores…

Giulia Quaranta Provenzano