Chi non si è mai chiesto quali i caratteri imprescindibili affinché un qual certo elaborato sia degno dell’appellativo di Arte con la maiuscola? Ed ecco che, personalmente, ho volutochiederlo oggi al pittore originario di Mede, Luigi Cei – artista pavese, questo, esposto presso la galleria d’Arte Contemporanea visitabile su www.pattys.it, la cui titolare è la bassanese Patrizia Stefani. A seguire la nostra intervista.

Luigi, a Suo avviso qual è la caratteristica fondamentale ed imprescindibile dell’Arte? L’inventiva e la comunicazione, o meglio, una capacità di comunicare nuova, attraverso percorsi inediti e possibilmente mai intrapresi.                                                                       


Per cosa si caratterizza, secondo Lei, un Artista con la A maiuscola? A mio parere, essere un artista con la A maiuscola può assumere ed avere mille significati. Può infatti essere appellato tale colui che è spinto da un buon gallerista; può esserlo pure colui che è così tanto in anticipo sui tempi da non venir capito oppure, all’opposto, colui che è talmente in ritardo sui detti che unicamente e tuttavia fa delle riproduzioni perfette. In qualsiasi caso, comunque, l’Artista con la A maiuscola è colui il quale tutti noi creativi vorremmo essere ma del cui titolo pochi, un giorno, potranno fregiarsi.

Lei cosa ama maggiormente dell’Arte? Dell’Arte in generale, amo profondamente soprattutto quegli aspetti che si insinuano nei risvolti dell’anima facendone uscire emozioni che fino ad un momento prima (le) erano sconosciute. Può bastare una forma, un colore, una nota, una strofa, uno stralcio poetico. Tutto questo, per me, è arte.

Autodidatta, inizialmente nel Suo percorso artistico è prevalsa la parte figurativa. Si è mai domandato il motivo e la ragione, forse per lo più inconsci, del perché è partito proprio da lì? La parte figurativa è il punto di partenza più facile, in quanto permette di riprodurre quel che si vede più o meno fedelmente. È solo dopo l’acquisizione di tale fedele capacità riproduttiva che la mente e l’intuito conducono al conseguimento dell’abilità manuale e, dunque, si può cominciare a spaziare e dare maggior ascolto all’emozione piuttosto che alla vista.

Lei non ha utilizzato molto i pennelli, ma invece più spesso spatole e mani: da cosa è-stata dettata questa scelta? Talvolta, certo, ho utilizzato anche i pennelli… Ma la vera emozione, per quel che mi riguarda, è quella che permette di trasferire la materia sulla tela con qualcosa che va-da al di là del pennello. Possono essere le mani o la spatola in quanto, grazie ad esse, è come entrare a far parte del dipinto con un passo diverso della propria anima.          

Secondo Lei perché pur copiando dal vero e dipingendo nature morte, cestini con frutta, vasi di fiori – e pur provando a ritrarli esattamente per com’erano – alcuni particolari ne uscivano sempre diversi dall’osservato? La vista riproduce l’immagine fedele, il cervello la elabora e la mano agisce su queste trasformazioni (operate dagli stimoli della mente).         

Successivamente è poi passato a rappresentare le città viste in orizzontale e verticale, scomposte e ricomposte, con porte d’ingresso aperte, finestre spalancate e pure chiuse, tetti a punta e l’uno sull’altro poiché per Lei metafora dell’anima. Come descriverebbe l’anima, vi è qualcosa di “religioso” nella Sua concezione d’essa? E che ruolo ha per l’appunto l’anima per un pittore qual Lei? La religione implica un processo interno in cui, a mio avviso, è facile credere e rifugiarsi. L’anima invece è l’essenza. L’essenza che, si, riconduce al quotidiano; essenza intesa come esperienza degli umani rapporti con gli altri attraverso l’immediatezza di accessi (le porte) aperti, o chiusi, a seconda della volontà di comunicare, e pur di fronte a tetti aguzzi che rappresentano l’esasperazione delle difficoltà ad introdursi nel mondo altrui. 

Sempre a proposito di anima, nella vita quotidiana e nella pittura, Lei è più cuore o ragione? E quali, secondo Lei, sono i punti di forza e di debolezza rispettivamente dell’istinto e della razionalità? Il mio carattere assolutamente razionale e poco emotivo, davanti alla possibilità di lasciarlo libero di correre per la propria  strada, diventa prevalentemente cuore con la pittura –  cedendo spazio, nel dipingere, alla parte emotiva che nella vita reale davvero poco mi appartiene.

Come le opere d’arte di un artista possono essere influenzate dalla realtà geografica, sociale, epocale e politica in cui vive ossia sotto che punto di vista e in che termini si è influenzati dal contesto? E nel Suo caso ne è stato e ne è influenzato? Il contesto in cui si vive sicuramente ha un’influenza. Nel mio caso però si riflette in modo impercettibile, perché credo di essere sufficientemente distaccato dagli eventi esterni quando dipingo …in maniera da dare più spazio al sogno e all’immaginazione, cioè ad una interiorità libera e non condizionata.

È in questo Suo secondo periodo artistico che Lei ha usato ogni tipo di materiale. Ha tagliato ed imbastito carta, pelle, stoffa, lustrini, passamanerie, pailette fino a provarne noia. Cosa l’ha stancata nello specifico e perché ricercare un mezzo d’espressione più immediato e sintetico, benché dettagliato? La noia è scaturita dalla routine; noia che, anche ed ancora nella mia vita di tutti i giorni, è abbastanza comune. La ricerca della comunicazione immediata è stata ed è una necessità, un modo per trasmettere concetti con un impegno formale meno costruito e più libero delle costrizioni.

Ed ecco che, in terza battuta, è approdato all’attuale ricerca nel campo dell’astrattismo, materico. Con l’astrattismo materico Lei cosa vorrebbe comunicare principalmente, cioè qual è uno dei principali messaggi che – magari a posteriori – riscontra nelle Sue opere? Essenzialmente la semplificazione. Il piacere di togliere gli orpelli, le decorazioni e di andare dritto all’anima senza troppi fronzoli. Ritengo che la comunicazione debba essere priva di barriere e sincera, per cui gli steccati devono essere abbattuti a favore di una linearità diretta ed istantanea.

Nel Suo caso, attualmente, si sente più vicino all’arte come espressione di sentimenti ed emozioni personali, arte come terapia per vivere più sereni, arte come riflessione sulla propria interiorità oppure arte come opportunità di riflettere e far riflettere sulla contemporaneità a livello sociale? Porre dei confini non mi appartiene. Ciononostante il mio concetto di Arte comprende un po’ tutto ciò che è stato chiesto per la sua definizione, e il risvolto sociale è sicuramente quello a cui maggiormente propendo.

Un astratto, il Suo, che Lei spiega essere il riassunto delle case, delle strade, dei pensieri sintetizzati e a sfociare in monocromi con forme e colori che si fondono, e combaciano a vicenda. Nel fare ciò gioca con i gialli, con i verdi chiari e scuri, con gli sfumati e li mischia con sabbia, con terra e con qualsiasi altra cosa Le permetta di dare rilievo e consistenza. Desidero, ha affermato, comunicare con segni ed ideogrammi come a condurre un discorso con qualcuno; vorrei cioè quasi prendere per mano l’osservatore e illustrare un percorso attraverso le mie emozioni, il mio vissuto, cosicché gli rimanga memoria di me, un’eredità. Cosa ne pensa del colore in generale? E qual è il colore che preferisce e perché di tale preferenza? Il colore, per me, è vita. Mi piacciono le tonalità giallo-arancio, quelle che appartengono alla terra, agli alberi, alla natura. Le tinte calde sono le mie preferite. A volte gioco con i neri e i bianchi, quasi per una sfida con me stesso, per provare che alla fine la barriera dei colori non esiste. Sono inoltre incuriosito dallo sperimentare, talvolta, i colori freddi, specialmente le tonalità dei blu e dei verdi ma queste mi riconducono inevitabilmente alle tonalità che maggiormente amo… non ho mai capito bene il perché.

Da ricordare come Lei abbia esposto in mostre Personali e Collettive, in Italia e all’estero. Solo per citarne alcune: l’esposizione nel 2003 a Vigevano e a Lignano Sabbiadoro ma altresì, nello stesso anno e nel 2004, a Forte dei Marmi. Risale al 2005 la Collettiva presso la biblioteca comunale di Milano, al 2006 la Personale alla Camera di Commercio di Chieti e al 2007 quella nella sala consigliare del Comune di Cava Manara. Cosa ne pensa di queste, ovvero qual è il motivo principale e con quale finalità un artista dovrebbe esporre pubblicamente? Penso che un artista dovrebbe esporre più che altro, se non sol, per il piacere del divertimento. Io mi sono sempre divertito molto a fare esposizioni, a spostare quadri, ad ascoltare consigli e a sentirmi chiedere il significato di un dipinto. Ecco, vorrei proprio che prevalesse lo “spasso” e che questo potesse comprendere anche il sapersi un po’ prendere in giro.

I Premi, secondo Lei, cosa aggiungono all’essere artista di un pittore, di uno scultore, di un fotografo, di un ballerino, di un attore, di uno scrittore, di un poeta, di un regista, di un coreografo, di un cantante, di un musicista etc.? I Premi ossia sono importanti per un artista, e se sì perché? I premi aggiungono l’attimo, l’evanescenza, lo spazio di un respiro ma terminano subito per lasciare posto ad un buco, ad una voragine, che va da ciò che si è fatto fino al quel momento a ciò che si vorrebbe fare, e a ciò che gli altri si aspettano si faccia.

Tra le sue esposizioni più recenti vi è l’emblematica “Antiche Forme e Nuovi Segnali”, a Cremona nel novembre 2015, ovvero una serie di opere in cui è evidente l’attento equilibrio compositivo di ogni elemento del ciclo. La Critica è stata concorde nell’affermare che <<Le forme geometriche si dispongono con inesorabile esattezza ed armonia, dialogano e si rinforzano tra loro… Rettangoli, ellissi, triangoli, lùnule in una composta e ritmata coreografia di rette e curve simmetriche che, come in un caleidoscopio, trovano sempre nuovi movimenti e sospensioni>>. Da cosa nasce e perché questo Suo uso delle forme geometriche? Le forme geometriche sono un riassunto semplificato e diretto di un pensiero lungo e tortuoso che, per mezzo di esse, può invece essere brevemente sintetizzato e trasposto.

Nelle Sue opere sono presenti, regolarmente, anche misteriosi simboli e frecce indicative di opposte verticalità – simili a grafemi, geroglifici, rappresentazione segnica che sembra rimandare agli albori della parola scritta e della società umana. Cosa ci può dire a questo proposito, e perché ha optato per ciò? Le miesono indicazioni e luoghi verso cui dirigersi, posti presso cui sostare. Credo che l’essere umano abbia bisogno dell’indicazione di una direzione verso la quale andare, di un posto nel quale fermarsi e lì riflettere sul proprio passato al fine si intraprendere poi la strada verso il proprio futuro. È importante la possibilità di trovare un senso, di avere una direzione da seguire che deriva dalla propria esperienza e dal proprio trascorso e di conseguenza poter, infine, chiarire dove e come procedere nell’avvenire.

Qual è, in ultimo, un pensiero o un insegnamento di vita che ha piacere di condividere con noi? Sono tanti i pensieri che vorrei condividere come altresì lo studio, l’analisi profonda, la ricerca delle motivazioni, l’espressione del colore, la costruzione delle forme, la tipologia di materiali e numerose altre cose ancora…

Giulia Quaranta Provenzano