Il libro d’esordio di Riccardo Pro ci porta ai confini della Siberia


in una missione che non smetterà mai di stupirci

Siamo ancora, purtroppo, in piena pandemia. Inutile ricordarlo visto che ogni giorno siamo bersagliati da numeri, colori, indicazioni e speranze. Solo, leggere queste parole: “Tenete le candele allo zolfo accese: servono per disinfettare l’aria. La febbre è salita di molto […] ma è il respiro asmatico il vero problema”, sapendo che sono ambientate in pieno 1600, fa sicuramente un certo effetto.

Si apre, pressappoco così, il libro d’esordio del polistrumentista, cantante e autore italiano Riccardo Pro dal titolo, quanto mai enigmatico, “Khatru” edito per Eretica Edizioni (Salerno, 2020).

Una volta che si è entrati veramente in Khatru tutto cambia in meglio e si sente un’energia tale che si desidera continuare la lettura e conoscere ancora meglio, ancora un po’ di più, quel mondo, così distante e così, al tempo stesso, talmente vicino. Molti i “picchi emozionali” della narrazione che mette in scena uomini forti, capaci di sopportare per mesi il freddo siberiano e le molteplici difficoltà della loro missione. Siamo subito catapultati nella foresta siberiana della Yakuzia dove un gruppo di esploratori dovrà raggiungere un importante affluente del Lena, il fiume Vilyuy, a monte del forte di Vilyuysk. Una zona di cui non si hanno precise informazioni. Le voci narranti iniziano, pagina dopo pagina, ad alternarsi tra i due personaggi in parte antagonisti, Sasho e Simon, e si entra sempre più nel vivo dell’esplorazione e di quel preciso contesto storico come ben si comprende dalla descrizione del cannocchiale: “Un tubo lungo circa tre palmi, apparentemente di ceramica, più stretto a una estremità e con una specie di battente da tamburo all’aria. Al centro del battente un piccolo vetro. Il francese lo indica con orgoglio.”

E poi, ecco che si assiste a un episodio, quasi eroico, di salvataggio di un bambino con una voce guida in sottofondo: “Madre sono io spirito?”, “Madre, sono io il maestro di me stesso?” e si entra così in un’altra dimensione, totalmente spirituale, con cui il racconto si incontra e arricchisce.

Leggende e credenze di un popolo che ancora non ha acquisito la totale conoscenza scientifica costellano la narrazione intervallate da una nuova lucidità mentale; il tutto perfettamente in linea con le scoperte di quell’epoca che stava assistendo a una grande rivoluzione scientifica.

E poi, ancora si legge, e ancora ci si immerge nella taiga, e si cammina fianco a fianco con Simon e poi Sasho e si comprende la loro complessità umana, il loro essere in continuo cammino, non solo esteriore. E si passa all’oggi domandandosi come si possa sopportare tanto dolore e andare comunque avanti, o ancora come possano convivere in perfetta armonia in un essere vivente pulsioni tra loro estremamente contrastanti come l’amore e la vendetta, e la trama prosegue e si infittisce ancora con molteplici colpi di scena e l’assoluta umanità dei personaggi  affiora e si impone con la potenza di un iceberg. 

Un romanzo che è un mix perfetto di storicità e di finzione ben riuscita, o in altre parole che richiama le pagine del diario di bordo di Cristoforo Colombo e i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e che rievoca lo stesso Jack London.

Khatru è energia, è un viaggio che inizia e finisce e rinizia in continuazione. È “l’eterno ritorno” di Nietzsche, è Musica, quella che “dà ali al pensiero, slancio all’immaginazione”, è felicità, quella collegata all’umanità: “nessuno vorrà più ammettere che in una capanna evenka con il pavimento di terra, abitata da gente che non sa scrivere, intrappolata nei rigori del gelo polare, c’è più felicità che nelle nostre ville pacchiane e nelle nostre corti sfarzose”, è vita che parla e ci dà una via da seguire, una via che parla a ciascun lettore in modo diverso perché non c’è alcuna presa di posizione impositiva da parte dell’autore, ma assoluta libertà.

Libertà di una taiga fatta di isolotti, ghiaccio fuso nel sottosuolo e che ristagna e di rugiada che brilla di diamanti, di ricchezza materiale che si unisce a quella spirituale, alle vibrazioni della Terra, all’uomo che diventa Orso e l’Orso che diventa uomo, al tutto in un nulla e il nulla nel tutto.

Khatru è tutto ciò e sa andare oltre. Crea un mondo dove le emozioni si toccano con mano e dove l’amore c’è e scorre nelle vene di tutti: eroi e falsi eroi.

Così, Khatru si presenta e rimane in sé perfetto in una sorta di quarta dimensione, quella ben intuita da Einstein, “perché tutto sarebbe stato diverso”.

Perché tutto è Khatru.

Je suis Khatru.

Francesca Patton

Riccardo Pro