“È stata la cosa più terribile della mia vita ed è stato atroce e crudele, non solo sapere della morte di tuo figlio ma apprenderlo così, in quel modo, dai giornali.” Questo il commento della mamma di Tortona protagonista della storia che andiamo a raccontare oggi e che rappresenta l’ennesimo esempio di come certi Organi di Informazione pur di arrivare a pubblicare prima di altri, non esitino a calpestare i diritti delle persone.

E’ il modo assurdo di fare informazione oggi, dove pur di arrivare prima per accaparrarsi click, lettori e consensi (e quindi di conseguenza anche potere e pubblicità) alcuni sono disposti a fare qualsiasi cosa.


La storia che pubblichiamo oggi, di seguito, risale a qualche tempo fa ma non era mai stata raccontata prima e ne segue una seconda molto recente, che mette in chiara evidenza come sia frenetica (e in certo modo assurda) una parte dell’Informazione oggi.

E’ uno dei tanti aneddoti e delle verità raccontate nel libro “Informazione?” del nostro Direttore, Angelo Bottiroli, che in occasione delle feste natalizie ha deciso di regalare a tutti i lettori quello che è il primo capitolo del libro. Un volume che oltre che su web, da oggi, si può acquistare anche presso la libreria “Le Paoline” in largo Borgarelli a Tortona.

IL DRAMMA

“No, Noo, Nooo! Non dovevi dirmelo! Non dovevi darmi questa notizia! Ma perché? Perché…”

Le urla di mia cugina riecheggiavano al telefono mentre piangeva disperata. Erano le 8 di sabato mattina.

Avevo appena finito il “Giro della cronaca” cioè quelle telefonate che noi giornalisti di “nera” dobbiamo fare tre volte al giorno a 118, Vigili del Fuoco e Forze dell’Ordine per sapere se è accaduto qualcosa di particolare. Chiamate che vanno effettuate necessariamente prima delle 8, delle 14 e delle 20 perché poi chi è di turno smonta e chi subentra non è in grado di raccontare, nei dettagli, quello che è successo nel turno precedente.

La notizia che mi comunicano dal 118 è di quelle che ti costringono a tralasciare tutto per dedicarti all’articolo da pubblicare, cioè un morto. Non è cinismo, noi giornalisti, in maniera molto fredda e professionale usiamo sempre questo termine: sia quando parliamo fra di noi che con la redazione e, a volte, anche con le Forze dell’Ordine.

“Il fatto è avvenuto stanotte verso le quattro a causa di un incidente stradale – mi informa il 118 – è un giovane di 28 anni, deceduto sul posto.”

Chiamo i Vigili del Fuoco che mi forniscono altri particolari e poi i Carabinieri. Da una di queste tre fonti, grazie a una persona che conosco e che lavora all’interno, riesco a sapere, in anteprima, il nome del ragazzo e la sua data di nascita.

Nome che verrà ufficializzato dagli agenti della Polizia Stradale (sono intervenuti anche loro e saranno loro a stendere il verbale) soltanto qualche ora più tardi e, comunque, dopo che avranno avvisato la famiglia, come da prassi consolidata in questi casi e com’è giusto che sia.

Le generalità mi fanno gelare il sangue: è un ragazzo che conosco molto bene e ha circa l’età di mio figlio. Se è lui, come purtroppo credo, l’ho visto nascere e conosco i genitori, anche se non ho più contatti con lui da qualche tempo.

Nome e cognome corrispondono ma non ricordo esattamente la data di nascita e allora poiché la Polstrada che ha rilevato l’incidente mi risponde di attendere qualche ora, chiamo mia cugina: il ragazzo è il figlio della sua più cara amica e lei sicuramente saprà con precisione la data di nascita.

Purtroppo non ho mai avuto molto tatto in certe situazioni e così, inevitabilmente, sono io a darle questa orribile notizia: lei grida e piange disperata al telefono. Cerco di consolarla dicendole che manca ancora l’ufficialità, tuttavia, le probabilità sono alte. Lei, però, non mi ascolta e sembra impazzita dal dolore. Chiudo la comunicazione perché a quel punto ogni altra parola sarebbe inutile.

Inoltre non posso perdere tempo: devo scrivere!

Accade sempre così quando succede un fatto di cronaca nera: ogni giornalista che si rispetti deve immediatamente smettere quello che sta facendo per dedicarsi anima e corpo all’articolo da scrivere, acquisendo tutte le informazioni necessarie subito, perché deve andare in “rete” nel più breve tempo possibile.

Nell’era dell’informazione online ogni minuto è prezioso e la notizia deve essere pubblicata entro poche ore, anzi, prima. É l’informazione di oggi, quella che corre via etere, sul pc, sul tablet, sul telefonino. L’informazione famelica di chi vuole sapere tutto e subito: una corsa sfrenata alla ricerca di cosa succede, della notizia, del caso umano, della curiosità. La cronaca nera, poi, è l’argomento che “tira” di più, quello che fa leggere, soprattutto quando muore qualcuno. Ormai lo so, ci sono abituato e così, anche se conoscevo bene la vittima, non posso perdere tempo nel dolore: devo scrivere!

Davanti a me, a quel punto, si apre tutto un altro universo: non penso al ragazzo che non c’è più, ma mi metto al lavoro ed entro in quella dimensione dove niente ha più importanza se non l’articolo da scrivere. Pensate sia cinico? Più che altro è necessità.

La necessità di essere freddo, lucido, di poter ragionare e agire. La morte, anche se improvvisa, infatti, non deve distoglierti da quelli che sono i tuoi compiti, cioè raccogliere tutte le informazioni necessarie, foto comprese, e preparare il ‘pezzo’ nel più breve tempo possibile.

Descrivere la morte fa parte del tuo lavoro e non puoi lasciare spazio ai sentimenti.

Quando sei chiamato a scrivere decine di articoli all’anno che riguardano incidenti mortali e decessi di ogni genere, dopo qualche tempo, raccontare la morte, diventa ormai una consuetudine e i primi tentennamenti e le emozioni che vive un novello cronista, alle prese con un grave fatto di cronaca nera, lasciano spazio alla routine.

La morte, così, diventa un fatto come un altro, da trattare alla stregua di un Consiglio comunale o di un dibattito, spogliandosi di connotazioni emotive.

Qui però si tratta di un ragazzo che conoscevo, un giovane con una vita ancora da vivere, un bimbo che ho tenuto in braccio quando era neonato, che ho visto correre e giocare insieme a mio figlio e così un po’ alla volta riaffiorano i ricordi.

A quel punto però, impongo al cervello di non pensarci: computer e telefono diventano il mio mondo e mi metto a scrivere senza pensare ad altro, come fanno i medici quando entrano in sala operatoria per effettuare un intervento chirurgico e non possono perdere la concentrazione.

Chiamo la Polizia Stradale e mi faccio raccontare la dinamica dell’incidente per avere ulteriori dettagli sulle informazioni già in mio possesso, ma al momento di chiedere nome e cognome per avere l’ennesima conferma nella flebile speranza che la mia fonte si sia sbagliata, si alza il muro: “Il nome non lo so – mi risponde il piantone – l’ufficio è chiuso e il comandante non è ancora arrivato, chiami dopo.”

Poco male, il nome lo so, così come so tutto di quel ragazzo appena deceduto. Così mi metto davanti al computer e scrivo. Stavolta faccio davvero presto e non devo neppure “sbattermi” a cercare notizie su di lui, com’è necessario fare quando muore qualcuno che non conosci e devi scrivere chi era, cosa faceva, chi erano i suoi familiari e raccontare succintamente la sua vita, gli hobby, le speranze, le aspirazioni che aveva per il futuro e tutto quello che è possibile apprendere.

Di questo giovane ragazzo, purtroppo, conosco già tutto: so cosa faceva, dove lavorava, chi sono i suoi genitori e i componenti della sua famiglia, i suoi gusti, le passioni e quali fossero le sue ambizioni. Cerco la foto sui Social e ne trovo alcune veramente belle che “taglio” a mio piacimento. Poi, sul suo profilo Facebook, la sorpresa: il giorno prima di morire aveva scritto una frase molto profonda sulla vita, una specie di testamento spirituale.

La utilizzo come “attacco” iniziale del ‘pezzo’ e scrivo uno di quegli articoli dettati dal cuore, dove cronaca nera e sentimenti si mischiano in un tutt’uno.

Un articolo bello, commovente, che fa piangere chi lo leggerà, perché io non sono soltanto un giornalista di cronaca nera che si limita a raccontare i fatti, ma quando scrivo voglio trasmettere emozioni, voglio che il lettore provi qualcosa e non sia indifferente di fronte all’ennesima morte di un giovane.

Lo scrivo quasi tutto d’un fiato con le parole che mi escono dal cuore e vanno dritte sulla tastiera e alle nove del mattino ho già finito. Mi basta un click del mouse e sarebbe online, ma aspetto perché voglio la conferma dalla Polizia Stradale.

Alle 10, dopo oltre un’ora di attesa, guardo se qualche altro collega ha già pubblicato la notizia: nessuno dei maggiori siti ha scritto nulla al riguardo, ma un giornale locale, però, ha messo online quello che in gergo giornalistico si definisce una “Notizia-Flash” cioè poche righe su quanto accaduto, riservandosi di ‘ritornare’ sul fatto con ulteriori approfondimenti nel corso della giornata.

È uno di quei pochi giornali che, insieme agli articoli, oltre alla data, ama riportare anche l’ora in cui questi vengono pubblicati e scopro che la notizia, risale a due ore e mezzo prima, cioè alle sette e mezzo quando si fa il ‘Giro della cronaca” e – con mia grande sorpresa – ha pubblicato nome e cognome del ragazzo. Evidentemente anche lui aveva una “fonte” all’interno delle Forze dell’Ordine ma non ha atteso, come ho fatto io, l’ufficialità dalla Polizia Stradale che arriva verso le 11 del mattino e soltanto in quel frangente, io pubblico l’articolo già pronto da un paio d’ore.

Due giorni dopo, quando partecipo al rosario e faccio le condoglianze ai genitori, verrò a sapere che entrambi hanno appreso della morte del figlio, non dalla Polizia Stradale, come avrebbe dovuto essere, ma da qualcuno che aveva letto il nome su quel giornale locale e ha telefonato loro prima che si presentassero gli agenti per informarli della disgrazia, convocandoli prima al comando e poi all’obitorio per il riconoscimento del cadavere.

“È stata la cosa più terribile della mia vita – mi dice la madre distrutta dal dolore – ed è stato atroce e crudele, non solo sapere della morte di tuo figlio ma apprenderlo così, in quel modo.”

Per la frenesia di alcuni giornalisti, purtroppo, casi del genere possono succedere e uno molto simile si è verificato sabato 22 agosto 2020.

Vengo a conoscenza che in un piccolo paese del Tortonese, cioè a Carezzano superiore, una giovane ragazza di 29 anni è caduta da un balcone ed è morta. So che abita a Milano e conosco ogni minimo particolare di questo fatto di cronaca perché mi è stato raccontato da chi era presente, ma prima di scrivere l’articolo, decido di chiamare i Carabinieri che sono intervenuti in loco e ai quali toccherà l’onere di stendere il verbale.

Li contatto anche per conoscere, da loro, nome e cognome della ragazza e verificare se le informazioni in mio possesso corrispondano effettivamente alla verità. Il Comandante, però, mi dice che adesso non possono divulgare i dati perché devono ancora avvisare i genitori: hanno provato a farlo ma sono irreperibili. Non appena ci riescono me lo dirà.

Cosa fare? Pubblicare che una ragazza di 29 anni residente a Milano è morta cadendo da un balcone a Carezzano superiore, equivarrebbe a scrivere pubblicamente nome e cognome, perché quante giovani di quell’età, residenti a Milano, il 22 agosto, possono trovarsi in un paesino di poche anime? So che gli articoli di Oggi Cronaca, poco tempo dopo la loro pubblicazione, vengono ‘ripresi’ anche da network nazionali come Google news e diffusi in un’area molto vasta e così, per evitare che i genitori, in qualche modo, possano essere inavvertitamente informati della morte della figlia da un sito internet o da qualcuno che lo legge sul web e visto che la notizia deve essere comunque pubblicata, perché anche tanti altri colleghi ne sono a conoscenza, decido di scrivere un ‘pezzo’ quasi anonimo dal titolo “Dramma nel Tortonese: si stacca la ringhiera del balcone e la ragazza che era appoggiata cade e muore.” È un articolo dove racconto i fatti ma senza citare né il Comune, né l’età della ragazza, per cui è impossibile risalire dove sia avvenuto l’episodio, visto che sono ben 40 i Comuni della zona.

Il testo va ‘in rete’ poco prima di cena. Mezz’ora più tardi lo condivido su alcuni Social e vedo che un giornale online (diverso dal precedente che aveva divulgato il nome del ragazzo dell’età di mio figlio), ha dato la solita “Notizia-Flash” indicando invece l’età della ragazza e il Comune in cui è deceduta.

Sono risentito e arrabbiato per la mancanza di tatto del collega e sul Social scrivo che non è questo il modo di fare giornalismo perché così si rischia di informare inavvertitamente i genitori che non sanno ancora nulla. Un collega di quel giornale, forse per giustificarsi, mi risponde mentendo che, invece, lo sanno perfettamente e comunque loro hanno deciso di dare la notizia così e di farmi i fatti miei. La mia replica dà il via ad una serie di insulti più o meno velati da parte del ‘collega’ poi rimossi dall’Amministratore del gruppo Facebook. Accadeva alle nove di sera. I genitori, come mi confermeranno i Carabinieri dopo oltre tre ore su WhatsApp, coi dati della giovane, sono stati informati del decesso soltanto dopo mezzanotte…

FOTO DI REPERTORIO