Dopo “Ambra” [https://www.oggicronaca.it/2020/08/per-i-nostri-lettori-il-racconto-breve-ambra-di-giulia-quaranta-provenzano/] e “La storia di un sogno” [https://www.oggicronaca.it/2020/09/per-i-nostri-lettori-la-storia-di-un-sogno-breve-racconto-di-giulia-quaranta-provenzano/], anche questo fine settimana abbiamo deciso di condividere con i lettori un altro breve racconto per trascorrere un po’ di tempo in relax ma non di meno, tuttavia, all’insegna d’una costruttiva riflessione. Ecco quindi “EsSere”, nato dall’instancabile penna di Giulia Quaranta Provenzano.

EsSere


Qualche volta si guardava allo specchio e, Non Si Trovava. Quella faccia rotonda mentre all’interno era tutta spigoli e contraddizioni; e quel doppio mento che stava combattendo da settimane, forse ancor più che negli ultimi anni, così da riuscire finalmente a neutralizzarlo.

Solo fissandosi negli occhi, nel nero delle pupille si riconosceva. Un pozzo in cui si presenta necessario cadere per EsSere. Invero, le sue finestre sul mondo erano marroni (Che colore banale! pensava spesso), baciate dalla calda luce del sole divenivano nocciola ma comunque per la maggiore rimanevano scure. Lei era un’anima della notte. Non di rado, però, immaginava come sarebbe stato bello avere gli occhi verdi della madre. Poi subito ci ripensava e si diceva: “Ma no, io potevo nascere soltanto con gli occhi marroni. Mi stanno bene così, non potrei essere diversa”. E quei capelli ramati e tanto fini, che dannazione per la giovane che l’unico volume a cui non è mai stata ostile è quello della chioma, di sottili spaghetti un tempo e ora d’appena ondulati, e pur fittamente increspati quesiti – per il resto, i numeri e la quantità rimangono ancora oggi la sua croce.

Prese d’un tratto a gironzolare avanti ed indietro per il bagno e si riniziò a domandare cos’è e com’è l’anima. Perché sì, se riflessa sul vetro non sapeva chi fosse, né si riconosceva alcuna, neppure riusciva a capire dove e come trovarsi davvero al di qua d’esso. Se avesse avuto oppure cambiato corpo, sarebbe rimasta la medesima o invece non sarebbe più stata la stessa inquieta viandante su vie d’incessanti interrogativi, inesausti?

Possibile che la vita finisca dietro quelle palpebre chiuse al cospetto della genitrice o sorella maggiore che dir si voglia di Morfeo? s’incalzava, inoltre, scuotendo la testa. Ché ci sono preziose affinità, rara quanto benedetta comprensione, istintiva, e certi salvifici riconoscersi da subito fra amanti che mai si sono baciati se non in uno sguardo, a farla dubitare che non esista né ci sia null’altro oltre il transeunte.

Lei ostinata figlia rinnegata del maieutico stupirsi socratico, era ed è la perdita (dell’invisibile zampillio in potenza) che non riesce, da che è venuta al mondo, ad accettare. Che sia di un’occasione specifica o talmente ipotetica da presentarsi come impossibile, o che si tratti della somma mietitrice, la si può scorgere piangere soltanto di fronte al preludio della fine. Anzi, dopo l’ultimo rintocco del verificatasi, incontrovertibile, termine. A rigare quella troppo pallida pelle sotto il malandato petto la privazione, iena crudele sulla carcassa di membra che del soffio vitale non sono che prigione d’avarizia. Dinanzi alla mano alzata in gesto di saluto, al sorriso dei fragili che della profonda incertezza esistenziale hanno fatto forza, sol allora la si troverà con copiose lacrime a scenderle sul viso.

Andò in camera, prese il pigiama nuovo e ne strappò il cellofan dentro il quale era riposto, nella sua immaginazione ripiegato con cura quasi a vezzeggiare le rughe d’ogni eccesso in cui si crogiolava ogni dì. Staccò con veemenza l’etichetta e udì come il suo inconscio odiasse quel rosa pastello, antico persino, delle rose sbocciate sul cotone. Ecco c’eravamo di nuovo: proprio attraverso la mente le si stava ripresentando il Rifiuto. La giovane donna odiava infatti quelle rose e quel tenue lilla in quanto con essi riaffiorava il ricordo dell’adorata nonna, che non riusciva a sopportare si fosse lasciata andare anzitempo. Una nonna che indossava solo camice da notte a fiori e di tal colore, o azzurre, più raramente d’un tenue verde, e che era stata l’unica che non l’avesse una sola volta giudicata. Amava la nipote così com’era, non l’aveva mai appesantita con aspettative o consigli, semplicemente l’accompagnava laddove e se questa lo desiderava e le chiedeva di andare. Senza preparativi, un moto spontaneo e non finalizzato a nient’altro eccetto al piacere in se stesso. Le due improvvisavano l’attimo, ciò che anche crescendo continuava a preferire pur allorché, da più d’un decennio, schiacciata dalle sovrastrutture in mezzo alle quali si trovò persa senza quel porto sicuro a dispetto del Se e del però.

Stanca, spossata da ciò che qualcuno a ragione chiamò cervellotico essere, d’un tratto si sentì priva di energia per proseguire con la quotidiana tabella di marcia. Si coricò sopra il letto e, forse, poiché protetta dalle tremule tapparelle d’un bianco abbagliante, versò tutta la disperazione ingoiata in quell’esistenza che tale non era. Prima di abbandonarsi all’altrove, tuttavia, ripensò proprio a Lui che aveva tentato di salvare quell’abortita bambina, abiurata prima persona. Lui che, non v’è tempo e non v’è luogo a recludere nel vivido e vivo ricordo di lei che dalla sedimentata polvere di dosso liberò.

Ripensò al “suo” Uomo dell’arcobaleno eppure non lo nominò ad alta voce, giammai avrebbe voluto spezzare quella silenziosa magia. Una stretta allo stomaco, un nodo in gola a saperlo lontano e non di meno, benché nel qui fossero, stati, destinati a coordinate diacroniche, non nel sogno. Non nel sogno che era quanto, per quella travagliata anima, soltanto valeva la pena di vivere …e d’altronde un viaggio è un regalo che non si scorda: Lui le aveva donato la consapevolezza d’avere ali che non esiste dovere ad aver diretto o scuse per tarpare, che l’imperfezione è la più grande ed inestimabile delle ricchezze, che il coraggio di fare alcune scelte per lasciar respirare il proprio universo è l’unica vera pietra filosofale e che se alla prima impressione ti emozioni è perché sai amare davvero e riesci a vedere il meraviglioso fluire dell’autentico, le porte aperte della continua trasformazione a paradiso. Allungò il braccio e porse la mano alla brezza leggera che filtrava dal minuscolo oblò sopra il soffitto. In quell’istante sentì le sue dita accarezzarne il volto, il venticello pieno d’uno straordinario tepore d’angelo. O forse diavolo tentatore. Abbracciò in mezzo al cielo stellato quell’amata espressione testarda almeno quanto la sua. Il resto non ebbe, né avrebbe avuto, più senso alcuno. Fragranza di fiori nella tempesta. Si addormentò nel profumo di mughetto; dal castano stille in Myosotis.    

Giulia Quaranta Provenzano