Diana Frances Spenser, anche conosciuta come Lady Di (in Italia) e Lady D (nel Regno Unito), nacque il 1° luglio 1961 a Sandringham mentre scomparse tragicamente il 31 agosto 1997, a Parigi.

Dal 1981 al 1996 è stata la consorte del principe del Galles ed erede al trono britannico, Carlo d’Inghilterra. Charles Philip Arthur George, primogenito della regina Elisabetta II e di Filippo, duca di Edimburgo sposò la bella Diana – di tredici anni più giovane di lui, quando lei aveva solo vent’anni e probabilmente immaginava sarebbero potute germogliare ancora molte sue verdi speranze.


Ma chi era Lady Di? Non so dirlo. Non mi sento di fare alcuna affermazione su coloro che, come la Spenser, sono così tanto chiacchierati eppure il cui più profondo mondo interiore rimarrà sempre celato a tutti …ché, in fondo, qual microscopio esiste per le emozioni e i sentimenti degli esseri umani, colorate girandole dell’imo provare che nulla – se non i battiti del petto – è in grado di smuovere davvero?

Ero solamente una bambina allorché la principessa del Galles venne a mancare ma ricordo bene, e perfino ad oggi non riesco a comprendere il motivo dell’aver di preciso a mente la scura immagine – intravista di sfuggita in tv – di, quella galleria con cui mi arrivò la notizia di quanto non in pochi pensarono (e forse continuano a crederlo) fosse non un incidente bensì un attentato …I colpi di scena, gli scandali e il controverso appassionano ed attraggono dall’origine dei tempi il singolo e la collettività. Ciò è pericoloso, giacché non di rado si finisce più facilmente per accanirsi proprio sulle fragilità e debolezze che accomunano l’intera specie, benché troppo sovente, non in sé, piuttosto negli altri le si smani ad indagare.

Numerosissimi i veri o presunti innamoramenti ed infatuazioni attribuiti a Diana, però quel che personalmente mi domando non è tanto quali corrispondenti a verità e quali no. Quel che mi chiedo è cosa porta femmine e maschi d’ogni Paese ad innamorarsi dell’altro, dell’altra e perché proprio d’uno, d’una piuttosto che un altro, un’altra.

Se Lady Di ebbe una relazione con Dodi Al-Fayed (con il quale si spense sotto il parigino ponte dell’Alma), se s’invaghì follemente del mercante d’arte Oliver Hoare o persino se perse la testa per il chirurgo Hasnat Khnat, per la sottoscritta non va giudicato per alcun motivo. Non va giudicato in quanto il giudizio di solito, se non senza eccezione, comporta il cercare di giustificarsi e giustificare: all’opposto ognuno è responsabile delle proprie scelte-non scelte, e demandare al prossimo (individuo, tempo, luogo che sia) quel che invece spetta alla prima persona conoscere è per nulla elegante e del mistero, che ogni creatura affascina, conserva ben poco.

Due parole non di meno le spenderò pur’io. Della mamma di William e Harry ricordo con piacere quella sua naturale incuranza e quel suo composto sfregio dello scontato e delle imposizioni – come quando nel 1987, inaugurata la prima unità dedicata esclusivamente ai pazienti affetti da HIV, strinse la mano ad un certo con l’AIDS senza indossare i guanti o quando dichiarò nella celebre intervista rilasciata nel novembre del 1995, a Martin Bashir della BBC, “Eravamo in tre in questo matrimonio, un po’ troppo affollato (facendo riferimento a Camilla)”– e non posso non esser calamitata da quegli occhi assai dolci quantunque di un’impressionante tristezza, inquieta, tipica delle anime che amano e si danno senza riserve, nonostante il parere del mondo. Non a caso ella affermò spesso <<Io non seguo il libro delle regole. Mi faccio guidare dal cuore, non dalla testa>>.

…Chissà se è stata fedele all’appena sopra dichiarato in ogni circostanza. Se non al contrario, per la maggiore, si percepisse inadeguata giacché la sua amica, l’agopuntrice Lily Hua rivelò di una Diana legatissima all’ex marito e ardentemente desiderosa di una seconda possibilità malgrado di tale speme nulla si seppe prima della sua morte. Di sicuro Lady D abbattè innumerevoli barriere e muri d’ignoranza, paura, preconcetti ed incomprensioni coll’esempio. Non vestì mai una corazza per non farsi vedere nelle sottili trasparenze, a venir ferita poiché in codesta maniera più facile infierire su di esse. Sino alla fine il suo porsi rimase gentile, il miglior modo di dimostrarsi umile e leale, a dispetto di alcuni pesanti mancati abbracci.

Giulia Quaranta Provenzano