“É soltanto un A rivederci”: così Giulia Quaranta Provenzano saluta la cara zia, Maria Boffano

Diano Arentino, 7 aprile 2020


Chi scrive è una giovane “visiva”: ciò che (già da quando ero bambina) più mi rimane impresso sono appunto le immagini, esse costituiscono gran parte della mia memoria – ed ecco perché mi stupisce dunque che della mia prozia, Maria Boffano, venuta a mancare venerdì 3 aprile mi risuoni ora invece nella mente la voce stupita nel salutarmi ogni volta immancabilmente con <<Oh, ciao Giulia…!>>. La zia abitava nello stesso stabile dei miei nonni materni ed era spesso seduta sul terrazzo, sotto la tenda a righe, a pulire la verdura, a sgranare i fagioli. Io arrivavo davanti al portone della palazzina di un’incredibilmente felice infanzia e prima di citofonare a nonna, come una giraffa, mi sporgevo sempre col collo a vedere se v’era quell’instancabile chioccia dai capelli castano ramato – e, per onor del vero, v’era pressoché senza eccezione, quasi colonna ella stessa della casa di famiglia.

Oggi, quattro giorni dopo la fine dell’ultima sua battaglia, neppure noi parenti abbiamo potuto salutarla qual si usa dietro un carro funebre né in mezzo a tappeti di fiori recisi a ricalcarne il corpo ma l’abbiamo accompagnata silenziosamente, a lei vicino col cuore e nei profumi, nei suoni, negli occhi immaginandola serena a San Rocco. Alcuni troveranno forse che sia ancor più triste non poter piangere in processione dietro ad una bara o seguire fino al campo santo, anticamera della soglia dell’estremo viaggio, i cari affetti per poter dare una carezza a ciò che tuttavia in ultimo si riduce a sol freddo legno od un bacio a quanto resta di chi, tanto pallido, è apparso infine più innocente però non io. Tali infatti sono soltanto sfoghi per coloro che rimangono, non piuttosto interiorizzato e ripercorso omaggio al traslato solo un pochino più in là, nel maggiormente intenso, se non dimenticato, in virtù del sopraggiunto invisibile. Personalmente penso che ci sia più dignità e verità d’emozione, d’amore nel composto raccoglimento, nel rispettare il dolore e la persona che di questo diviene compagna nel trapasso non con gesti o pianti plateali che del rumore fanno ovatta bensì vivificandone il ricordo nel continuare ad osservare il mondo con gratitudine, stupore e meraviglia così da sapervi ritrovare il compartecipato e tanto gioito ed esperito, non interrottamente insieme. 

E poi sì, in tempo di Coronavirus il deforme d’ogni situazione diventa perché (?) e non di meno una cosa mi è comunque chiara e cioè che è stata adesso la zia a venire a salutarmi. Quando questo pomeriggio sono scesa in strada per osservarla passare diretta al cimitero, fuori dal cancello d’ingresso di dove abito coi miei genitori, mi attendeva una Vanessa. Con le sue ali marrone scuro ed arancione come il colore dei capelli di Maria, ed una spruzzata di venerando bianco ad impreziosirne la generosa e adorata presenza, aspettava proprio me ché non è volata via neppure quando mi sono avvicinata così tanto da poterla perfino toccare col naso e fotografarla con il cellulare. Infine, appena prima che papà mi chiamasse per non perderla passare, si è spostata su altri fiori di photinia scomparendo dalla mia vista solamente quando io ormai già lontana. Accanto ad una fascia, ad attenderla, ho altresì notato un enorme papavero d’un rosso sangue abbagliante, al centro della cui corolla una ben definita croce scura. Ebbene, queste bellezze naturali o specie di coincidenze chissà sono a mio avviso l’ossequio migliore; probabilmente è la sottoscritta a scorgere segni in quel che tali non sono, ciò nonostante il semplice ricondurli ad un affetto n’è dimostrazione al di là dell’esteriore manifestare. Lo stesso vale anche per mia mamma che ha notato un insolito quadretto di pratoline ai bordi dell’asfalto, le medesime che la zia intrecciava per lei e per le sue due figlie allorché, piccoline, le portava a giocare nel castellotto*prato. 

“É soltanto un A rivederci, cara zia”. Ed altre tre farfalle, due bianche ed una gialla mi hanno fatto compagnia di ritorno da una passeggiata, a coricarmi dopo e pensarti nella mia stanza.

La tua Giulia

* di Diano Castello