La parola scritta m’ha insegnato ad ascoltare la voce umana, pressappoco come gli atteggiamenti maestosi e immoti delle statue m’hanno insegnato ad apprezzare i gesti degli uomini. Viceversa, con l’andar del tempo la vita mi ha chiarito i libri.

Ho sempre amato queste parole che la Yourcenar presta all’imperatore Adriano, ma mai le ho sentite così vere come in questi giorni.


Ci si ritrova a lavorare con i ragazzi su argomenti già trattati molte volte, ma l’andare del nostro tempo ci costringere a rileggere in modo del tutto nuovo anche le vicende più note, e mai come ora si sente l’importanza di avere con sé solidi riferimenti culturali, grazie ai quali meglio si può ascoltare e interpretare la voce umana, oggi tanto spaventata e sofferente.

E’ ancora una volta un modo per confrontarsi con la perennità dei classici, per prendere atto del fatto che non hanno ancora finito di dire quello che hanno da dire, anche o soprattutto in un tempo inaudito come questo.

Ed è così che ci si ritrova a pensare al rientro a Itaca di Odisseo come alla nostra Fase 2: le analogie sembrano tante e davvero sorprendenti.

Tentare una riflessione potrebbe essere un buon viatico per il futuro prossimo.

Occorre tuttavia circoscrivere l’ambito della nostra indagine: si metterà in evidenza la permanenza di Odisseo tra i Feaci, perché è lì, nel racconto che egli fa di se stesso che c’è tutto il senso di quello che verrà dopo, per quel che riguarda lui, e anche noi.

Odisseo resta un tempo incommensurabile chiuso nell’isola di Ogigia: una sorta di quarantena la sua, una separazione da se stesso e dal mondo, dove ogni giorno scioglie e smarrisce, nelle lacrime, parti importanti del suo essere più autentico. Ma finalmente l’incantesimo si spezza, Ermes lo libera: direzione casa. Il 4 maggio arriverà anche per noi tutti: torneranno i prati, tornerà, finalmente, la nostra vita di sempre, usciremo di casa per sentirci nuovamente a casa.

Che non sarà un percorso facile, che il riappropriarci dei nostri ruoli passerà per diverse tappe intermedie e istintivi o procrastinati reciproci riconoscimenti, che troveremo intrusi nel nostro regno profondamente mutato è ormai chiaro a tutti. Ma di ritorno vero e proprio non si potrà parlare se prima di ricominciare non saremo approdati anche noi in una qualche terra di mezzo per fermarci a narrare e narrarci tutto quello che l’esilio dalla nostra Itaca è stato.

Nell’Odissea il racconto fiorisce in ogni occasione, ma il luogo per eccellenza dove il suo spirito si incarna è Scheria che, stando a Citati, dopo l’arrivo di Odisseo echeggia per due giorni di canti e di racconti, come se la vita non fosse altro che parole vere e immaginate. Prima dell’approdo a Itaca, terminato il suo lungo viaggio, Odisseo deve prenderne possesso, far confluire dentro di sé ogni avventura, collocarla in un orizzonte di significato, ripensare ai suoi gesti e alle sue azioni da una giusta distanza, deve in qualche modo comprendere, per sostanziarsi dell’alterità che ha incontrato e dell’altrove in cui ha vissuto. E può fare questo solo attraverso la parola che diventa per così dire didascalia differita dell’azione. La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda, e come la si ricorda per raccontarla ammonisce Marquez. Solo dopo aver terminato l’arte antica, luminosa e necessaria della narrazione, una volta messo ordine nel disordine variopinto delle sue peripezie, Odisseo lascia Scheria: non può rimanere più a lungo in questo spazio intermedio, perché il suo mondo è quello reale. Durante il viaggio dorme un sonno profondo come la morte, dove dimentica la stanchezza, gli affanni, la disperazione: muore per rinascere.

In questi giorni spesso sentiamo dire “presto torneremo ad abbracciarci”, “teniamo duro ancora per qualche settimana”; si fa pressione perché le attività produttive riprendano il prima possibile, le regioni si muovono in ordine sparso, in una discutibile gara a chi osa di più. In Italia come in Europa la parola d’ordine sembra diventata, o tornata, “presto”. Dov’ è la nostra corte dei Feaci? Dov’ è il nostro tempo sospeso, tra l’infuriare della mostruosa malattia e il ritorno alla normalità? Odisseo mancava da vent’anni, ma non ha avuto fretta, si è fermato, non forzatamente come a Ogigia, ma per scelta. Sembra che noi, dopo due terribili mesi di lutti e spavento, che ci hanno rimesso di fronte alla dura certezza della nostra fragilità, non abbiamo imparato a concederci alcun tempo lento per il pensiero e la parola a commento del dolore e a preparazione della ripartenza. Abbiamo capito che vivere è molto pericoloso, ma forse non abbiamo capito che è ancora più pericoloso vivere privati della prospettiva di un altro sguardo, di un’altra voce su quello che siamo stati e che vogliamo o non vogliamo tornare ad essere.

Senza narrazione non ci sarà sonno, e senza sonno non ci sarà nessuna vera rigenerazione.

Lucina Alice docente di Greco  Liceo “E. Amaldi” di Novi Ligure