La pressione fiscale delle famiglie italiane, pari al 17,82% del PIL, risulta sostanzialmente stabile (+0,04%) nell’ultimo anno, ma non ha ancora assorbito lo shock fiscale del 2012. In particolare, permangono ancora 1,63 punti da recuperare rispetto all’incremento dovuto alla crisi del debito verificatasi nel 2011. Da allora il recupero è stato solo di 0,18 punti. Una situazione differente rispetto al dato della pressione fiscale generale che, nello stesso periodo ha lasciato un avanzo più contenuto pari a 0,66 punti nel 2019. Le famiglie, dunque, rispetto agli altri settori istituzionali dell’economia, in particolare imprese e istituzioni finanziarie, hanno subito quasi interamente sulle proprie spalle il peso dell’aggiustamento fiscale dell’inizio dello scorso decennio. Il dato emerge dall’osservatorio economico del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti che ha rielaborato la pressione fiscale delle famiglie sulla base di dati Istat di Contabilità Nazionale e Mef sulle entrate tributarie mensili attraverso l’analisi dettagliata del gettito delle singole imposte con una proiezione dei dati al 2019.

A differenza della pressione fiscale generale, che risulta in calo costante dal 2014, la pressione fiscale sulle famiglie, stabile nel 2013 (-0,08 punti di Pil), si è incrementata ulteriormente nel 2014 (+0,22%) e nel 2015 (+0,30%), per poi riprendere a ridursi nel 2016 (-0,46 punti) e nel 2017 (-0,17 punti di Pil) fino a stabilizzarsi nel 2018 e nel 2019. L’andamento differente rispetto a quella generale è dovuto dall’incremento del gettito Imu/Tasi, delle addizionali Irpef e dei contributi sociali a carico delle famiglie, controbilanciato dal calo del gettito Ires e Irap e dalla stazionarietà dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro. 


L’osservatorio ha analizzato anche lo scenario futuro. Quest’anno la legge di bilancio – attraverso la riduzione del cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti – avrà un impatto positivo sulla pressione fiscale delle famiglie sebbene in maniera contenuta pari allo 0,17% del Pil che salirà a 0,28 punti nel 2021. Anche ipotizzando la trasformazione in detrazione fiscale del bonus di 80 euro mensili introdotto dal governo Renzi nel 2015, equivalente a 0,5 punti di Pil, non si rientrerebbe del tutto dallo shock fiscale del 2012.

Il documento dei commercialisti fa poi il punto anche sui redditi medi familiari, evidenziandone una crescita continua dal 2015. In particolare, nel 2017, il reddito medio netto familiare è risultato pari a 31.393 euro, superando per la prima volta il livello pre-crisi di 30.502 euro del 2009. Permangono, invece, significative differenze territoriali con il livello più basso al Sud (25.415 euro) e il più alto nel Nord-ovest (35.386 euro). Il Sud presenta un gap del 19% rispetto alla media nazionale e del 28% rispetto al livello più alto del Nord-ovest.

Infine, rispetto alla composizione del nucleo familiare, la ripresa manifestatasi nel triennio 2015-2017 ha favorito i nuclei più piccoli, mentre quelli più numerosi, in particolare quelli con cinque e più componenti, hanno fatto registrare addirittura un calo.

“La riduzione della pressione fiscale registratasi negli anni successivi al picco del 2012 – commenta il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani – ha prodotto risultati asimmetrici rispetto alle diverse platee di contribuenti. C’è stato un saldo positivo per le imprese con una buona base occupazionale, per le quali è stato possibile fruire a pieno dei positivi interventi su IRAP, IRES e contributi sociali. Per i lavoratori dipendenti a basso reddito, che hanno potuto bilanciare l’inasprimento della tassazione locale con il “bonus 80 euro”, il saldo è invece più o meno in pareggio. Saldo tendenzialmente negativo, infine, per pensionatilavoratori autonomi e ceto medio in generale che ha subito l’inasprimento della tassazione locale senza alcuna apprezzabile contropartita, al netto della esenzione della prima casa dall’IMU”.

Secondo Miani, “si tratta ora di insistere nello sforzo di riduzione del carico fiscale, dando però la giusta priorità a interventi mirati verso chi è stato sino ad oggi più trascurato, in primo luogo le famiglie”. “Fermo restando che, come il bonus degli 80 euro, anche la riduzione del cuneo fiscale è un intervento a favore delle famiglie che produce effetti positivi sebbene limitati sulla crescita economica – conclude il presidente dei commercialisti – l’auspicio è che il Governo possa ampliare l’intervento agendo direttamente sulle aliquote Irpef, così da estenderne il beneficio a tutte le famiglie italiane e non solo a quelle il cui reddito proviene prevalentemente da lavoro dipendente”.

Al tema della pressione fiscale familiare la Fondazione Nazionale dei Commercialisti dedicherà nei prossimi mesi un incontro in collaborazione con il Forum Nazionale delle Associazioni Familiari nel quale verranno illustrate le possibili soluzioni per risolvere le difficoltà economiche che quotidianamente vivono i nuclei familiari del nostro paese.