Lo scorso mese di maggio è stato protagonista di una primavera particolarmente anomala, all’insegna del maltempo, dove le temperature rigide molto al di sotto della media stagionale hanno interrotto le fioriture tipiche del periodo, generando, fra gli altri, importanti effetti a livello agronomico e moria di api per l’interruzione della dispersione in aria dei pollini anemofili.

L’arrivo di giugno, al contrario, con il repentino rialzo di temperature, ha provocato un’esplosione di fioriture scatenando, di conseguenza, forti allergie.


Le pollinosi, o allergie da pollini, che secondo i dati dell’OMS si posizionano ai primi posti delle malattie croniche interessando tra il 10 e il 40% della popolazione a seconda delle regioni e dei periodi dell’anno, risultano negli ultimi anni in continuo aumento e forte in crescita soprattutto nelle aree urbane, dove la contemporanea presenza in atmosfera degli allergeni nei granuli pollinici e delle sostanze responsabili dell’inquinamento atmosferico producono evidenti effetti sulla salute umana.

In un tale contesto, oltre all’accresciuto interesse per discipline quali aerobiologia e bioclimatologia, dedicate espressamente allo studio dell’interazione tra fattori ambientali, una particolare attenzione riscuotono i “Bollettini dei pollini”, report periodici che, grazie a un campionamento standardizzato ed alla contestuale analisi delle previsioni e condizioni meteo, offrono elementi utili a valutare l’arrivo, i picchi e il declino della presenza ambientale dei diversi tipi di polline nelle varie regioni del paese1, fornendo preziose informazioni sia alla generalità della popolazione che alle strutture sanitarie dedicate.

Ma non solo. Lo studio delle minuscole particelle di polline consente di acquisire molte altre importanti informazioni, come quelle legate anche ai cambiamenti climatici, alle fitopatologie in campo agronomico e al controllo delle biodiversità; nel territorio marchigiano, ad esempio, è così stato possibile rilevare la presenza di specie “aliene” come l’Ambrosia e la Brussonetya2 papyrifera”.

Ben si comprende, inoltre, il legame tra fenomeni atmosferici e climatici e dispersione delle particelle biologiche, se si considera che i pollini oggetto di studio sono quelli detti “anemofili”, cioè trasportati dal vento per favorire la riproduzione della propria specie. La fase di rilascio del polline è influenzata principalmente dall’umidità e dalla viscosità dell’aria, dalla temperatura e dall’intensità luminosa, mentre la velocità e la direzione del vento, nonché i fenomeni di turbolenza e l’azione di lavaggio dell’atmosfera esercitata dalla pioggia influiscono nella fase di dispersione e diffusione.

Il clima dell’area italiana è il risultato combinato di più fattori che agiscono a diverse scale, dalla macroscala alla microscala. La nostra penisola si estende tra il 36° e il 47° parallelo ed è circondata dal Mar Mediterraneo, che costituisce una fonte di calore e umidità. Altri elementi importanti per il clima italiano sono le montagne, soprattutto le Alpi e l’Appennino, che agiscono profondamente sulla circolazione e la vanno parzialmente ad alterare, creando situazioni meteorologiche spesso molto complesse e differenti tra un versante e l’altro o in alcuni casi anche da zona in zona. Normalmente sulla nostra penisola la primavera, anche se erroneamente spesso associata al sole e al caldo, si presenta piuttosto piovosa, alternata a fasi stabili e via via più calde man mano che si prosegue verso la stagione estiva.

Dal punto di vista termico, negli ultimi 50 anni, anche in Italia le temperature sono decisamente aumentate, mentre da un punto di vista precipitativo non si sono rilevati nel nostro paese importanti variazioni.